Abstract
A fine Settecento, quando l’ingresso della musica nel «sistema delle arti» era un evento ancora recente, il fondatore della Allgemeine Musikalische Zeitung, Friedrich Rochlitz, individuava il motivo della maggiore discrepanza nei giudizi in materia musica le rispetto alle altre arti nel fatto che essa sarebbe priva di punti di riferimento visibili. «La musica», egli affermava, «nulla ha divisibile (Sichtbares) cui si possano confrontare le sue opere, o da cui possa scaturire una qualche concordanza nelle valutazioni». Mentre per esempio possiamo valutare la differenza di valore tra due raffigurazioni di una rosa perché abbiamo visto la rosa reale, nella musica, argomentava Rochlitz, dobbiamo affidarci alla nostra sensibilità introspettiva, il che rende il compito del giudizio assai difficile. Non intendo qui commentare questo argomento. Piuttosto mi interessa mettere in discussione l’idea che la musica non abbia a che fare con la dimensione del visibile. Anche dando per scontata l’idea che la musica sia un’arte, o un campo di pratiche, legato in modo fondamentale ai suoni e all’ascolto, non è inutile interrogarsi sul contributo della dimensione visiva all’esperienza musicale. Questo articolo presenterà quindi alcune considerazioni circa gli aspetti visivi della produzione e della ricezione della musica. La prima parte concerne la possibilità di visualizzare l’opera intesa come tipo ideale strutturale. La seconda parte discute il ruolo della visione nell’esecuzione delle opere musicali. La terza parte si sofferma brevemente sul ruolo della visualizzazione immaginativa e del vedere performativo nelle pratiche dell’improvvisazione. La conclusione propone un rapido riferimento all’iconologia musicale.