Conversazione con Emanuele Severino

Quaderni Borromaici 3:207-219 (2016)
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Abstract

Quanto segue intende proporsi come il resoconto di una conversazione che Andrea Oliani, Bruno Cortesi e Pietro Vigiani, tutti studenti presso l’Almo Collegio Borromeo di Pavia, hanno intrattenuto con Emanuele Severino, volta ad enucleare, muovendo da spunti talvolta anche polemici, alcune delle concettualità fondanti quel corpus di dottrine che cade sotto il nome di severinismo. Severino è stato squisito nell’accoglierci e ospitarci nella sua dimora di Brescia, lucido e assolutamente puntuale nel controbattere alle nostre provocazioni. La discussione ha poi trovato naturale seguito in una conferenza di carattere più divulgativo tenuta dal filosofo presso il Collegio Borromeo, dal titolo Sulla Tecnica. Severino consegue la laurea in Filosofia nel 1950 come alunno del Collegio Borromeo, discutendo una tesi intitolata Heidegger e la metafisica sotto la supervisione di Gustavo Bontadini. Solo un anno più tardi ottiene la libera docenza in filosofia teoretica. Nel 1964 pubblica lo scritto Ritornare a Parmenide, che, insieme a La Struttura Originaria rappresenta la miccia che innescherà negli anni successivi quello che molti hanno definito lo “scandalo” del severinismo. Questi scritti, come altri, posseggono una portata teorica tanto dirompente che già nel 1969, a seguito di un lungo e accurato esame condotto da Cornelio Fabro, la Chiesa cattolica proclamerà l’insanabile pposizione tra il pensiero di Severino e il Cristianesimo. Comprendere tale pensiero è cosa ardua, se prima non ci sia volti alla grecità delle origini: essa è, per Severino, il luogo ove in maniera inaudita (nel senso letterale di “mai udita prima”) viene pensato l’Incontrovertibile, il “Sempre Salvo”, ciò la cui egazione è auto-negazione, e che pertanto non può in alcun modo essere contraddetto; In altri termini: la Verità. Essa è anche stata in grado per la prima volta di concepire in maniera radicale L’Essere e il suo corrispettivo: il Niente inteso come radicale assenza di qualsiasi positività. L’aver inteso la Verità come Saphés (“Ciò che brilla di luce propria” da cui Philo-Sophìa) da un lato, e l’aver posto L’Essere e il Niente dall’altro, sono gli atti che per Severino fondano quell’immenso edificio culturale che ancora oggi domina il pianeta tutto: L’Occidente. È possibile, dunque, individuare una pars construens e una pars destruens negli scritti di Emanuele Severino: da una parte sembra che, facendo uso di un apparato logico e ontologico raffinatissimo, egli cerchi di porre in questione le categorie di pensiero occidentali risolvendo il Problema dell’Occidente alla radice, cioè eliminandolo (accenneremo a quale sia questo problema e a cosa significhi eliminarlo); in questa che è una vera e propria opera di demolizione, il Nostro (pars construens) intende mostrare come tutto quanto si mostra nell’orizzonte esperienziale sia “da sempre salvo” perché eterno. Ciò sfocia, in scritti quali Pensieri sul Cristianesimo, Technè, Il Giogo, Il Nulla e la Poesia, in una “ricostruzione” volta a mostrare come le categorie introdotte dal pensiero greco si riverberino in ogni forma della razionalità occidentale, dall’arte, alla filosofia, al diritto, alla politica, determinandone in maniera necessaria gli sviluppi. Precisiamo, per correttezza, che lo stesso non è stato rivisto da Severino.

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Bruno Cortesi
Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia (Alumnus)

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2022-08-19

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