Abstract
In «Mancanze, omissioni, e descrizioni negative»,55 Achille Varzi esplora le
conseguenze di una forma comune di ragionamento causale, quella in cui
citiamo mancanze od omissioni nel fornire una spiegazione delle cause degli
eventi. Tale forma appare di comune uso nei contesti normativi del diritto,
nelle spiegazioni tipiche delle scienze sociali e, più in generale, nel ragionamento
ordinario. Ciò che accomuna questi casi è l’idea intuitiva secondo
cui le cause possono anche consistere in eventi negativi. L’intuizione non è
però metafisicamente innocua, poiché per affermare che una spiegazione
come "C’è stata un’esplosione perché Gianni non ha spento il gas"
sia una buona spiegazione, occorre assumere che gli eventi negativi come
“il non aver spento il gas da parte di Gianni” esistano al pari di eventi come
l’esplosione e dal momento che, solo se sono entrambi eventi, può tra questi
sussistere una relazione casuale. Dovremmo pertanto concludere che (1) è
perfettamente intellegibile e rispecchia le nostre pratiche linguistiche. Spesso
parliamo assumendo che ci siano cose che le persone non fanno: il gas
che Gianni non ha spento, la passeggiata che non abbiamo fatto, il treno che
non è arrivato, ecc. La sensatezza di questi usi esige pertanto il dover riconoscere una certa legittimità al vocabolario delle omissioni e delle descrizioni
negative.
Varzi sostiene che questo modo di parlare solleva tuttavia degli scrupoli
ontologici,56 poiché non è possibile assumersi alcun serio impegno ontologico
nei confronti di eventi negativi, ancor meno quando le nostre asserzioni
richiedono di quantificare su eventi “inesistenti”. Una strategia per ovviare a
questo scrupolo è sostenere che queste pratiche linguistiche sono analoghe a
quelle in cui parliamo di oggetti “inesistenti”, ossia di oggetti che è come se
ci fossero, ma che riconosciamo esistere soltanto in un contesto finzionale.
Dunque l’analogia con gli oggetti finzionali può rendere in qualche modo
espliciti i vincoli ontologici, giustificando quegli usi linguistici.
Sebbene questo argomento abbia la sua plausibilità, Varzi nota che «ad
un esame più attento, gli eventi non accaduti si rivelano ben più resistenti al
rasoio di Occam di quanto l’analogia con gli oggetti non esistenti suggerisca
» poiché il nostro linguaggio causale ci induce spesso a ritenere che «il
riferimento o la quantificazione nei confronti di eventi non accaduti sia da
intendersi in senso stretto e letterale»,57 in contrasto con quanto suggerisce
l’analogia con gli oggetti finzionali. La difficoltà nasce dall’argomento per
cui, se la causazione è una relazione tra eventi, occorre prendere sul serio
l’idea che gli eventi negativi siano negativi stricto sensu. La tesi di Varzi è
che questa tesi sia una contraddizione genuina e che l’unico modo di risolverla
sia di rinunciare all’idea che gli eventi negativi esistano in un qualsiasi
senso.
In questo articolo intendo analizzare un aspetto di questa forma di parsimonia
ontologica. Il mio intento è di valutare le conseguenze della tesi di
Varzi dal punto di vista della spiegazione causale in contesti controfattuali e
nei casi di omissione del diritto.