In Vincenzo Fano, Enrico Giannetto, Giulia Giannini & Pierluigi Graziani,
Complessità e Riduzionismo. ISONOMIA - Epistemologica Series Editor. pp. 108-125 (
2012)
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Abstract
L’osservazione della natura con l’intento di capire l’origine della varietà di
forme e fenomeni in cui si manifesta ha origini remote. All’inizio il rapporto
con i fenomeni naturali era dominato da sentimenti quali paura e stupore che
conducevano a supporre l’esistenza di entità sfuggenti alla percezione
diretta che permeavano gli elementi animandoli. Ecco dunque che la magia
rappresenta l’elemento dominante della filosofia naturale primitiva
caratterizzata da una unicità degli eventi e dalla impossibilità di capirli e
dominarli in quanto frutto della volontà di essenze a noi estranee e non
governabili. Con il nascere della civiltà ed il suo progredire il tempo
dedicato ai lavori necessari per il sostentamento e la sopravvivenza diminuì
e nella ripartizione dei compiti alcuni individui potevano dedicare parte del
loro tempo alla osservazione della natura ed alla sua interpretazione in
termini non trascendenti. Nella natura, intesa come tutto ciò che ci circonda
composto da esseri viventi e da materia inorganica nelle sua varie
aggregazioni sulla terra e nel cosmo, ciò che attirò l’attenzione fin
dall’inizio furono furono i fenomeni regolari e periodici come i moti della
luna, dei pianeti e delle stelle. Nel contempo dopo una spinta iniziale dettata
da esigenze pratiche come contare gli oggetti o misurare i campi, la
matematica si era sviluppata autonomamente e si rivelò idonea a descrivere
in termini quantitativi i moti dei corpi celesti. La terra era al centro
dell’universo mentre il moto degli altri corpi celesti risultava da una
composizione di moti circolari uniformi. Questa visione geocentrica e pitagorica (armonia delle sfere) dell’universo ha prevalso fino agli albori
della scienza moderna, anche se una descrizione eliocentrica, basata su
validi argomenti, era stata proposta. Per quanto riguarda la struttura della
materia i presocratici avevano già proposto i quattro elementi mentre gli
atomisti avevano ricondotto tutto ad entità elementari primigenie, il cui
aggregarsi e disgregarsi da luogo a tutti gli stati e le molteplici forme della
materia. Queste intuizioni si ritrovano nella fisica moderna che contempla
quattro stati di aggregazione, che hanno come unico sostrato comune gli
atomi. La fisica moderna nasce con Galileo e Newton, la cui dinamica si
sviluppa a partire dalle leggi di Keplero che descrivono il moto dei pianeti
nel sistema eliocentrico, per potersi poi applicare ad un qualunque sistema
materiale. Pertanto nei due secoli successivi si ritenne che un modello
meccanico potesse essere sviluppato per un qualunque sistema fisico e
quindi per l’universo intero la cui evoluzione doveva essere
matematicamente prevedibile.
Per i fenomeni termici tuttavia vennero formulate leggi ad hoc come
quelle della termodinamica che mostrano come i processi macroscopici
siano irreversibili in contrasto con le leggi della meccanica. Si deve a
Boltzmann1 il tentativo di ricondurre la termodinamica alla meccanica per
un gran numero di particelle dei cui moti disordinati viene data una lettura
di carattere statistico. L’aumento della entropia e la irreversibilità seguono
dalla ipotesi di caos molecolare ossia che i moti siano così disordinati che si
perde rapidamente memoria dello stato iniziale. L’idea di introdurre una
misura di probabilità nel contesto della meccanica sembra antitetica con la
natura stessa della teoria rivolta fino ad allora allo studio di sistemi con moti
regolari, reversibili e prevedibili individualmente su tempi lunghi. Tuttavia
l’analisi probabilistica diventa essenziale per lo studio di sistemi
caratterizzati da forti instabilità, e da orbite irregolari per i quali la
previsione richiede una conoscenza della condizioni iniziali con precisioni
fisicamente non raggiungibili.
Combinando la evoluzione deterministica della meccanica di Newton o
di Hamilton con la descrizione statistica attraverso una opportuna misura
invariante di probabilità nello spazio delle fasi, nasce la teoria dei sistemi
dinamici2 che consente di descrivere non solo i sistemi ordinati o i sistemi
caotici ma anche tutti quelli che vedono coesistere in diverse proporzioni
ordine e caos e che presentano una straordinaria varietà di strutture
geometriche e proprietà statistiche, tanto da fornire almeno se non proprio un quadro teorico per lo meno metafore utili per la descrizione dei sistemi
complessi. Anche se non c’è unanime consenso ci sembra appropriato
definire complessi non tanto sistemi caratterizzati da interazioni non lineari
tra i suoi componenti e da proprietà emergenti, che rientrano a pieno titolo
nel quadro dei sistemi dinamici, ma piuttosto i sistemi viventi o quelli di
vita artificiale che ne condividono le proprietà essenziali3.
Tra queste possiamo certamente annoverare la capacità di gestire la
informazione e di replicarsi, consentendo tramite un meccanismo di
mutazione e selezione di dare origine a strutture di crescente ricchezza
strutturale e dotate di capacità cognitive sempre più elaborate. Una teoria
dei sistemi complessi non esiste ancora, anche se la teoria degli automi
sviluppata da Von Neumann4 e la teoria della evoluzione di Darwin5 ne
possono fornire alcuni pilastri importanti. Recentemente la teoria delle reti è
stata utilizzata con successo per descrivere le proprietà statistiche delle
connessioni tra gli elementi costitutivi (nodi) di un sistema complesso6. Le
connessioni che non sono né completamente casuali né completamente
gerarchiche, consentono una sufficiente robustezza rispetto a
malfunzionamenti o danneggiamenti dei nodi unita a un adeguato livello di
organizzazione per consentirne un funzionamento efficiente. Nei sistemi
fisici il modello base è un insieme di atomi o molecole interagenti, che
danno luogo a strutture diverse quali un gas, un liquido o un cristallo, come
risultato di proprietà emergenti. Nello stesso modo per i sistemi complessi
possiamo proporre un sistema automi interagenti come modello base. Le
molteplici forme che il sistema assume anche in questo caso vanno
considerate come proprietà emergenti del medesimo sostrato al mutare delle
condizioni esterne e frutto delle i replicazioni, ciascuna delle quali introduce
piccole ma significative varianti. Questa è la grande differenza tra un
sistema fisico ed un sistema complesso: il primo fissate le condizioni esterne
ha sempre le medesime proprietà, il secondo invece cambia con il fluire del
tempo perché la sua organizzazione interna muta non solo al cambiare di
fattori ambientali ma anche con il succedersi delle generazioni. C’è dunque
un flusso di informazione che cresce con il tempo e che consente agli
automi costituenti ed alla intera struttura di acquisire nuove capacità. Questo
aumento di ordine e ricchezza strutturale avviene naturalmente a spese
dell’ambiente circostante, in modo che globalmente i la sua entropia cresce
in accordo con la seconda legge della termodinamica. In assenza di una teoria formalizzata paragonabile a quella dei sistemi dinamici, per i sistemi
complessi si possono fare osservazioni e misure, sia puntuali sui costituenti
elementari e sulle loro connessioni, sia globali sull’intero sistema, oppure
costruire modelli suscettibili di essere validati attraverso la simulazione. Se
di un sistema si riesce infatti a fornire una descrizione sufficientemente
dettagliata, è poi possibile osservare come questo si comporti traducendo le
regole in algoritmi e costruendo quindi una versione virtuale, anche se
semplificata del sistema stesso. Il passaggio più difficile è il confronto tra il
sistema simulato ed il sistema vero, che passa necessariamente attraverso la
valutazione di una numero limitato di parametri che ne caratterizzino e
proprietà. La codifica del progetto è una proprietà cruciale dei sistemi
complessi perché questa si realizza con un dispendio di massa ed energia
incomparabilmente più piccolo rispetto a quello necessario per realizzare
l’intera struttura; nello stesso tempo apportare piccole modifiche ad un
progetto è rapido ed economico. In questo processo che comporta la
continua introduzione di varianti si aprono molteplici strade e con lo
scorrere del tempo si realizza una storia in modo unico e irripetibile.
Anche il susseguirsi di eventi fisici caratterizzati da processi
irreversibili e dalla presenza di molteplici biforcazioni da origine ad una
storia che non si può percorrere a ritroso, né riprodurre qualora fossimo in
grado ripartire dalle stesse condizioni iniziali. Tuttavia esiste una differenza
profonda tra la storia di un sistema fisico come il globo terrestre e la storia
della vita. La prima registra i molteplici cambiamenti che ha subito la
superficie del nostro pianeta ove montagne e mari nascono e scompaiono
senza un chiaro disegno soggiacente. La storia della vita è caratterizzata da
una progressiva crescita della ricchezza strutturale e funzionale e
accompagnata da una crescita della complessità progettuale. La
rappresentazione di questa storia prende la forma di un albero con le sue
ramificazioni che mostra la continua diversificazione delle strutture e la loro
evoluzione verso forme sempre più avanzate. La direzione in cui scorre il
tempo è ben definita: le strutture affinano le capacità sensoriali mentre
cresce la potenza degli organi che elaborano la informazione. Un sistema
complesso è anche caratterizzato da un molteplicità di scale, tanto più alta
quanto più si sale sulla scala evolutiva. La ragione è che il procedere verso
strutture sempre più elaborate avviene utilizzando altre strutture come
mattoni per cui l’immagine che si può fornire è quella di una rete di automi
a più strati: partendo dal basso una rete con le sue proprietà emergenti
diventa il nodo di una rete di secondo livello, cioè un automa di secondo
livello che interagisce con altri automi dello stesso tipo e così via. Nei
sistemi inorganici, dove non esiste un progetto, si distinguono di norma solo due livelli, quello dei costituenti elementari e quello su scala macroscopica.
I sistemi fisici sono riconducibili a poche leggi universali, che governano i
costituenti elementari della materia, ma il passaggio dalla descrizione dalla
piccola alla grande scala è impervio e consentito soltanto dalla simulazione
numerica, quando ci allontaniamo dalle situazioni più semplici caratterizzate
da un equilibrio statistico. I limiti che il disegno riduzionista incontra già per
i sistemi fisici diventano decisamente più forti nel caso dei sistemi
complessi.