Modelli dinamici per le scienze sociali. Razionalità (limitata), interazione, aspettative

In Vincenzo Fano, Enrico Giannetto, Giulia Giannini & Pierluigi Graziani (eds.), Complessità e Riduzionismo. ISONOMIA - Epistemologica Series Editor. pp. 14-26 (2012)
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Abstract

Nel corso del Novecento l’uso dei modelli matematici, che si era già rivelato così utile in fisica e ingegneria, è stato introdotto, talvolta con difficoltà non trascurabili, anche in discipline tradizionalmente considerate poco adatte ad un simile approccio, quali l’economia, la sociologia, la biologia. Un percorso che inizia prendendo a prestito molte delle idee e dei modelli della fisica, tanto che nel discorso inaugurale dell’anno accademico 1901-1902 all’Università di Roma il grande fisico matematico Vito Volterra (1860- 1940) pronunciava le seguenti parole: «è intorno a quelle scienze nelle quali le matematiche solo da poco tempo hanno tentato d’introdursi, le scienze biologiche e sociali, che è più intensa la curiosità, giacché è forte il desiderio di assicurarsi se i metodi classici, i quali hanno dato così grandi risultati nelle scienze meccanico-fisiche, sono suscettibili di essere trasportati con pari successo nei nuovi ed inesplorati campi che si dischiudono loro dinanzi». In effetti l’economia arriverà, nel corso della prima metà del secolo, a un’elegante formulazione assiomatico-deduttiva della teoria dell’equilibrio economico, con l’utilizzo di metodi matematici eleganti e sofisticati. Ma le ipotesi di base, che coinvolgono concetti legati alle scelte degli individui influenzate dal loro livello di razionalità, influenzate da componenti psicologiche e interazioni sociali, condizionano fortemente i risultati ottenuti, e tuttora molti ritengono che il fatto che i metodi matematici si siano rivelati così utili in fisica non implica che lo siano anche per l’economia e le scienze sociali. La formalizzazione sempre più astratta di tali modelli, insieme alla loro difficoltà a spiegare e prevedere alcuni fenomeni economici e sociali osservati, ha portato a frequenti polemiche sulla reale opportunità di trasformare le discipline sociali in teorie matematiche, con strumenti che talvolta sembrano impiegati come fine a se stessi. In questo articolo, dopo aver brevemente delineato la storia della progressiva matematizzazione dell’economia, ci si concentrerà soprattutto sull’utilizzo in economia dei modelli dinamici non lineari, anche questi sviluppati inizialmente in fisica. Si tratta di modelli deterministici utilizzati per prevedere, ed eventualmente controllare, l’evoluzione temporale di sistemi reali. Basati su equazioni di evoluzione, espresse mediante equazioni differenziali o alle differenze a seconda che si consideri il tempo continuo o discreto, il loro studio qualitativo permette di ottenere informazioni sul tipo di comportamento che emergerà nel lungo periodo, e di come questo è influenzato dai principali parametri. La scoperta che modelli dinamici non lineari (che sono la regola nei sistemi sociali, caratterizzati da interazioni e meccanismi di feed-back) possono esibire comportamenti denotati col termine di caos deterministico per la proprietà di amplificare in modo difficilmente prevedibile perturbazioni arbitrariamente piccole (la cosiddetta sensitività rispetto alle condizioni iniziali, o “effetto farfalla”) ha suscitato un certo imbarazzo e nel contempo creato nuove possibilità. L’imbarazzo è dovuto al fatto che, come descriveremo meglio in seguito, la presenza di caos deterministico rende insostenibile l’ipotesi di agente economico razionale, ovvero capace di prevedere correttamente. Le nuove possibilità sono legate al fatto che quei sistemi economici e sociali caratterizzati da fluttuazioni in apparenza casuali potrebbero essere governati da leggi del moto deterministiche (anche se non lineari). In ogni caso, gli studi sui sistemi dinamici non lineari hanno portato a distinguere fra la rappresentazione matematica deterministica e la prevedibilità. L’attuale crisi economica ha senz’altro contribuito a riaccendere il dibattito sul modo di studiare i sistemi economici e sociali e la capacità di spiegare e prevedere. Le scienze sociali, e in particolare l’economia, sono davvero una scienza? Come può una scienza non prevedere e non accorgersi di quello che sta succedendo? Si tratta, come vedremo nel seguito, di domande ricorrenti, e anche in questa occasione qualcuno ha detto che, inseguendo i formalismi matematici, si sta perdendo di vista la realtà, mentre altri sostengono che il problema sta negli specifici formalismi adottati, che quelli usati sono superati, legati ad una matematica “vecchia”, magari mutuata in modo acritico da altre discipline. La speranza è allora che la crisi economica comporti un cambio di paradigma anche nella modellizzazione matematica.

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