In Andrea Bottani & Richard Davies (eds.),
Ontologie regionali. Mimesis. pp. 209–222 (
2007)
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Abstract
Ci imbattiamo in un confine ogni volta che pensiamo a un’entità demarcata rispetto a ciò che la circonda. C’è un confine (una superficie) che delimita l’interno di una sfera dal suo esterno; c’è un confine (una frontiera) che separa il Maryland dalla Pennsylvania. Talvolta la collocazione esatta di un confine non è chiara o è in qualche modo controversa (come quando si cerchi di tracciare i limiti del monte Everest, o il confine del nostro corpo). Talaltra il confine non corrisponde a una discontinuità fisica o a una differenziazione qualitativa (come nel caso dei confini del Wyoming, o della demarcazione tra la metà superiore e la metà inferiore di una sfera omogenea). Ma, che sia netto o confuso, naturale o artificiale, sembra esservi per ogni oggetto un confine che lo separa dal resto del mondo. Anche gli eventi hanno confini, quantomeno confini temporali. Le nostre vite sono delimitate dalle nostre nascite e morti; una partita di calcio comincia alle quindici in punto e termina col fischio finale dell’arbitro alle sedici e quarantacinque. E a volte si dice che anche le entità astratte, come i concetti o gli insiemi, hanno dei propri confini. Se tutto questo parlare di confini abbia davvero un senso, e se rifletta la struttura del mondo o solo l’attività organizzatrice del nostro intelletto, è però oggetto di profonda controversia filosofica.