The author, for a long time director of the BBC, underlines the importance of effective, non-aseptic communication, to contrast the fake news and the demagogy that the Internet favors.

In questo saggio traccio un profilo del pensiero di Bernard Williams, concentrandomi su temi relativi alla filosofia morale e, più nello specifico, ricostruendo la sua disamina dell’idea di oggettività in questa disciplina. Dopo aver esaminato le sue critiche all’idea di teoria etica normativa, offro un inquadramento metaetico della sua posizione e concludo mostrando le sue affinità con la riflessione etica degli antichi Greci e, in particolar modo, di Aristotele.

Carlo Colombo è un teologo italiano, che insegnò a Venegono (diocesi di Milano) dal 1935 al 1965. Egli promosse un incontro tra il tomismo e le nuove correnti teologiche, ispirate a Blondel e al rinnovamento neo-patristico, cercando di salvaguardare sia l'oggettività della conoscenza concettuale, sia l'importanza dell'affettività e della ricerca di felicità che animano il soggetto umano. Il suo pensiero ha contribuito alla formazione di don Luigi Giussani, fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberzazione.

L’anno appena trascorso è stato dimenticabile (per ovvie ragioni) e i filosofi politici hanno una ragione in più per dimenticarlo data la prematura scomparsa di Gerald Gaus. Tuttavia, essi potrebbero forse trovare una qualche consolazione nel fatto che il 2020 ha visto la pubblicazione di due notevoli opere dedicate alla loro disciplina: 'Utopohobia', di David Estlund e 'What is Political Philosophy?', di Charles Larmore. In questo saggio, dopo aver offerto una sintesi criminalmente breve del nucleo argomentativo dei due volumi, li (...) metterò in dialogo, usando le risorse dell'uno per interrogare e problematizzare alcune tesi dell'altro (e viceversa). (shrink)

CONTENTS /(TITLES OF THE CHAPTERS) -/- Parte Prima: I PRINCIPI DI RAGIONE -/- Capitolo 1: LA VERSIONE CAUSALE DEL PRINCIPIO: LEIBNIZ E HOBBES 1. Quanti sono i principi di ragion sufficiente? 2. Gli antecedenti: causa sufficiente e causa totale 3. La teoria dei requisiti 4. Moto e azione 5. La contingenza e il primo principio di ragion sufficiente Scheda: Il giovane Leibniz e la teoria politica di Hobbes -/- Capitolo 2: LA VERSIONE DELIBERATIVA DEL PRINCIPIO: OPTIMUM, PERFEZIONE E PROBABILITA' 1. (...) Perfezione ed equilibrio 2. Probabilità e optimum. 3. Possibilità logica e possibilità proeretica -/- Capitolo 3: LA VERSIONE LOGICA DEL PRINCIPIO. PRINCIPIO DI RAGIONE E CONCETTI COMPLETI 1. I futuri contingenti e la loro ratio scibilitatis 2. Le relazioni espressive e l'involutio 3. Le due facce della percezione 4. Gli ingredienti del concetto completo: predicati e leggi 5. Contingentismo e limiti del Principio di Ragione -/- Riepilogo -/- Parte Seconda: ATTIVITÀ E AZIONE -/- Capitolo 1: L'INVENZIONE DELLA SPONTANEITA' 1. Spontaneità contro libertà di indifferenza 2. Le attività del pensiero: l'anima e l'automa 3. Actio mixta passioni: le virtù e gli affetti 4. L’indifferenza relativa -/- Capitolo 2: DELIBERAZIONE UMANA E DELIBERAZIONE DIVINA 1. Potentia refracta 2. L’enigma della scelta divina 3. Cause e ragioni -/- Index Nominum . (shrink)

Scopo di questo agile ma denso volume è approfondire “The part played by the mathematical construction in the context of a full investigation of Kant’s theory of sensibility, that to say the Transcendental Aesthetic”. Si tratta della ripresentazione della tesi di dottorato della Shabel, da cui la stessa ha riportato ampi squarci per un articolo award-winning 1998 dal titolo ”Kant on the Symbolic Construction of Mathematical Concepts” (Studies in the History and the Philosophy of Science). Non si (...) tratta di un saggio di circostanza, bensì del risultato di un'attenta e approfondita ricerca sul ruolo della costruzione di concetti, come praticata e intesa in matematica al tempo di Kant e che sicuramente influenzò la stesura dell’Estetica Trascendentale. (shrink)

La simbologia iniziatica raccoglie varie forme di simboli: quelli che appartengono a un’antica tradizione e che si ripresentano come una normalizzazione del passato in chiave modernizzata; quelli che derivano da un patto tra i membri della collettività iniziatica e che garantiscono l’unità del gruppo, che sono sincronici nell’ambito del gruppo stesso; quelli che hanno il senso di proiezione al superamento dei limiti gnoseologici del gruppo e dei suoi membri, sono tradizionali ma mediante il loro carattere di molteplicità semantica offrono (...) nuove opportunità gnoseologiche. Il silenzio non fa parte della prima categoria, perché non tutti i gruppi iniziatici antichi o tradizionali lo utilizzavano ritualmente o lo consideravano come simbolo e quindi non poteva avere una funzione normativa suscettibile di modernizzazione. Può essere momento cruciale del secondo quando viene ritualizzato nelle diverse fasi d’apprendimento sulla base di una pattuizione connessa alla creazione del rituale e costituendosi come uno dei fulcri sincronici del gruppo, assicurando la sua unitarietà. Può anche appartenere al terzo caso quando assume una veste tradizionale ma avendo una sua pluridimensionalità semantica, nella comunione del dicere e tacere pulsa di opportunità nuove per l’accrescimento iniziatico. Il silenzio nel contesto iniziatico è una forma linguistica specifica che caratterizza tutto il percorso degli iniziati. Questi elaborano all’interno del gruppo la sintassi del silenzio, la morfologia dei simboli espressi tacitamente, senza spiegare compiutamente i loro significati. Ogni simbolo, o segno in senso semiotico, ha delle diverse significazioni per le diverse fasi del percorso iniziatico. Ognuno appartiene a una diversa tipologia di rapporto con ciò a cui si riferisce: ha rapporto di “similarità” come il disegno di una squadra e compasso che illustra degli oggetti operativi, di “prossimità” quando manifesta l’operazione di misurazione e di relazione dei rapporti alla quale l’oggetto è destinato, di “concordanza” se rinvia all’oggetto dentro la cognizione di una regola architettonica. Il simbolo in quanto forma speciale di segno si manifesta (prima fase d’apprendimento), come nell’esempio, in modalità iconografico-descrittiva contenente un significato “dettato”. È una dictatio iniziatica da tenere nel silenzio di fronte al mondo essoterico , del quale l’iniziando è ancora permeato, la simbologia deve essere evocata senza esplicitarne i suoi intimi significati, la si descrive ma non la si espone compiutamente. È il valore evocativo, indeterminato e silenziato, che deve stimolare l’iniziando alla ricerca dei significati. L’indeterminazione del silenzio destruttura l’essoterico, il suo pensiero le sue categorie criteri e valori, porta al deserto dei significati essoterici come via all’ontologia del linguaggio iniziatico. È stadio di attesa, di rinvio a un mondo altro. Si sospettano dei significati che nella successiva fase incominciano a palesarsi in una dictatio più precisa, un dictamen funzionale a rappresentare il concetto di misurazione nelle sue plurime significanze ove la misura è assunta come astrazione simbolico-concettuale. Proseguendo, il segno in forma di oggetto si spoglia di ogni rimando fattuale ed esistenziale, di comunicazione di un’astrazione o ideazione concettuale e si smaschera nel suo essere “regola” iniziatica. (shrink)

In Germany, between the last decades of the 18th and the first decades of the 19th centuries, four fundamental figures of German and European culture emerged: Lessing the great playwright, Herder the promoter of the epistemological foundations of modern linguistics and of the emerging historical-social sciences, Goethe the supreme poet and novelist, and Fichte the eminent philosopher. They were all Freemasons and basic authors of Masonic thought. The most significant works of these authors have been chosen, which summarize the interpretative (...) modalities of the complex Masonic reality of the 18th century. The book analyses Lessing's five Dialogues for Freemasons, highlighting his austere vision in the search for the essence of Freemasonry. Of Herder's two Masonic Dialogues, the connotation in the sense of Humanity of a Freemasonry that leaves the Enlightenment to set out towards new goals of pure and spiritual thought is noted. Among Goethe's poetic works, two in particular highlight the depth of a Masonic thought pervaded by a sophisticated and modern hermeticism. Fichte's Lessons on Freemasonry are framed in his complex philosophical thought and in his complicated experience of Masonic life. ========== Nella Germania tra gli ultimi decenni del XVIII e i primi del XIX secolo emergono quattro figure fondamentali della cultura tedesca ed europea: Lessing il grande drammaturgo, Herder promotore delle basi epistemologiche della moderna linguistica e delle nascenti scienze storico-sociali, Goethe il sommo poeta e romanziere, Fichte l’eminente filosofo. Erano tutti Massoni e autori basilari del pensiero massonico. Di questi Autori sono state scelte le opere più significative che sintetizzano le modalità interpretative della complessa realtà massonica del ‘700. Nel libro si analizzano i cinque Dialoghi per Massoni di Lessing evidenziando la sua visione austera nella ricerca dell’essenza della Massoneria. Dei due Dialoghi massonici di Herder è rilevata la connotazione nel senso dell’Humanität di una Massoneria che esce dall’Illuminismo per avviarsi a nuove mete di pensiero puro e spirituale. Tra le opere poetiche di Goethe due in particolare evidenziano la profondità di un pensiero massonico pervaso di un sofisticato e moderno ermetismo. Le Lezioni sulla Massoneria di Fichte sono inquadrate nel suo complesso pensiero filosofico e nella sua complicata esperienza di vita massonica. (shrink)

Goethe, an important figure in 18th century German Freemasonry, developed a Masonic thought based on the assumptions of hermetic esotericism that influenced much of his poetic and scientific production. ===================Goethe importante figura della massoneria tedesca del XVIII secolo sviluppa un pensiero massonico fondato sui presupposti dell'esoterismo ermetico che influì su molta della sua produzione poetica e scientifica.

Questo lavoro propone un confronto tra diversi strumenti utilizzabili per modellare la conoscenza di dominio in ambito didattico: le mappa concettuali, Novak e Cañas (2006), (uno strumento tradizionalmente utilizzato nelle scuole) e le ontologie computazionali (dei sistemi formali di modellazione concettuale, attualmente molto usati nei sistemi di intelligenza artificiale per le loro capacità di “ragionamento automatico”, si veda Guarino, (1995)). Nello specifico, questo articolo presenta il risultato di un un doppio esperimento sul campo condotto presso il Liceo Scientifico “Guido Parodi” (...) di Acqui Terme in cui gruppi di studenti paragonano lo strumento della mappa concettuale e quello dell’ontologia nella risoluzione di due problemi di “misconcezione” (o errata concettualizzazione): uno indotto attraverso la consegna di appunti e materiali didattici contenenti informazioni volontariamente contraddittorie tra loro (caso che potrebbe corrispondere alla situazione in cui uno studente prende - per qualche motivo - degli appunti in modo scorretto) e l’altro legato ad una complessità concettuale intrinseca all’argomento. (shrink)

Among the main themes introduced by the Ficinian renovatio platonica, love and beauty are certainly ones of the most outstanding and philosophically relevant for the metaphysical, cosmological and anthropological doctrines they convey. Pupil and recognised successor of Marsilio Ficino, Francesco Cattani da Diacceto is the author of an organic and complex philosophy of love and his contribution is extremely significant amid De amore Renaissance treatises. Cattani’s attitude is twofold and ambiguous: he heavily depends on Pico and on his Commento (...) sopra una canzona de amore, however, he also shows his disapproval to Pico’s positions by quoting and commenting negatively large portions of his texts − always keeping the lid on Pico’s name. In addition to doctrinal dissent there seems to be a certain resentment: maybe it is the attempt to throw Pico’s figure and cultural legacy into the shade and to display himself as the only and worthy successor of Ficino; certainly it is the will to defend his master from Pico’s harsh criticism, a defence that became more compelling with the publication of the Commento in 1519, which probably inspired Cattani’s last and unfinished work, the In Platonis Symposium enarratio. (shrink)

CONTENTS: -/- SEZIONE I IL TUTTO E' UNO? IL RISVEGLIO DI UN PROBLEMA TRA SCOLASTICA E RINASCIMENTO Il principio omne causatum est compositum fra Tommaso e Cajetano Igor Agostini, p. 25 Parti e tutto in Montaigne. La natura e l'individuo tra frammentazione e integrazione Raffaele Carbone 45 Le minuzzarie e il tutto. Giordano bruno e la conoscenza universale Maurizio Cambi 75 -/- SEZIONE II A PARTIRE DA CARTESIO. COME PUO' ESSERE UN TUTTO L'UOMO? -/- Mente/Corpo in Cartesio. Spunti per un'interpretazione (...) mereologica Stefano Di Bella 93 Nos sumus ex Deo et pertinemus ad Deum. Appartenenza, dipendenza e relazione nel pensiero e nel lessico di Arnold Guelincx Cristina Santinelli 115 L'integrità di corpo e mente nell'"invenire" terapeutico di E. W. von Tschirnhaus Manuela Sanna 133 L'indivisibilità della natura umana e della società in Francesco Longano. Un episodio della ricezione di Locke in Italia Roberto Evangelista 147 -/- SEZIONE III L'IRROMPERE DELL'ORGANICO. LA BIOLOGIA FILOSOFICA TRA SEI E SETTECENTO -/- Convenienza e discrepanza. Parti e tutto nella Lettera 32 di Baruch Spinoza Francesco Toto 169 Mereologia della sostanza e mereologia del vivente in Leibniz Enrico Pasini 197 Teleologia e mereologia dell’organismo da Leibniz a Bonnet Francesco Piro 209 Il nesso delle parti: mereologia e scienza secondo Christian Wolff Matteo Favaretti Camposampiero 239 Il problema del tutto e delle parti. il caso del vitalismo di Montpellier Charles T. Wolfe 257 -/- SEZIONE 4 TOTALITA' CRITICHE: DALLA CRISI DEL NATURALISMO ILLUMINISTICO ALLA FILOSOFIA DELLE CULTURE -/- La logica del tutto (e delle parti di tutto, vale a dire niente) in Dom Deschamps Jean-Claude Bourdin 273 l’(in)afferabile forma. Totalità e contingenza nel pensiero di Kant tra Critica della ragion pura e Critica del giudizio Luigi Imperato 303 la relazione Parte-Tutto nel primo Schelling Giuseppe D’Anna 327 Hegel o della totalizzazione dello spazio di interiorità Vittorio Morfino 343 A partire da Kant: Begriffsbiìldung teleologica e relazione Parti-Tutto nelle indagini di Rickert sulla logica delle scienze storiche della cultura Edoardo Massimilla 359 . (shrink)

Achille Varzi è uno dei maggiori metafisici viventi. Nel corso degli anni ha scritto testi fondamentali di logica, metafisica, mereologia, filosofia del linguaggio. Ha sconfinato nella topologia, nella geografia, nella matematica, ha ragionato di mostri e confini, percezione e buchi, viaggi nel tempo, nicchie, eventi e ciambelle; e non ha disdegnato di dialogare con gli abitanti di Flatlandia, con Neo e con Terminator. Tra le sue opere principali: Holes and Other Superficialities e Parts and Places. The Structures of Spatial Representation, (...) entrambi scritti insieme a R. Casati per MIT Press; Il mondo messo a fuoco, Laterza; e il suo libro più recente: Le tribolazioni del filosofare, con C. Calosi, per Laterza. -/- Da una giornata all’Università di Urbino nasce questa conversazione a molte voci sulla e con la filosofia di Achille C. Varzi. In un dialogo critico al quale l’Autore si presta con generosità e onestà intellettuale, Andrea Borghini, Francesco Calemi, Claudio Calosi, Elena Casetta, Valeria Giardino, Pierluigi Graziani, Patrizia Pedrini, Daniele Santoro e Giuliano Torrengo lo interrogano e mettono alla prova sui temi affrontati, nel corso degli anni, in campi diversi. Il risultato è un percorso che si snoda attraverso molti mondi, dalla logica alla metafisica, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della matematica, dalla mereologia alla filosofia del tempo, spingendosi in qualche caso oltre i confini del saggio filosofico. (shrink)

Il breve saggio si propone di esaminare la centralità della figura materna nell’opera di un ingegnoso costruttore di storie della letteratura italiana del Novecento: Alberto Moravia. La scelta dell’Autore nasce dalla rilevanza della tematica nella sua opera, in cui peraltro è quasi sempre assente il punto di vista femminile delle “voci” delle donne. Ciò sembra paradossale e questa circostanza è di grande interesse critico. In particolare, a dispetto delle interpretazioni più canoniche, secondo cui Moravia – negli scritti (...) realizzati tra il 1929 e il 1964 – ha inteso compiere una “distruzione” dell’immagine materna nel quadro di una visione pessimista della famiglia borghese, dovremo considerare un più complesso e articolato universo materno nello scrittore romano, in cui è possibile ricostruire cinque modelli – la “madre autoritaria”, la “madre-non madre”, la “madre padrona”, la “madre-angelo custode” e la “madre-seduttrice” –, ben esemplificati nei principali romanzi ma che si ritrovano nei racconti che Moravia scrive ininterrottamente dagli anni Trenta agli anni Sessanta, la cui mole ha determinato, ancor oggi, una mancanza di studi sistematici. In secondo luogo, la tematica della madre sarà esaminata nelle trasposizioni cinematografiche italiane delle opere letterarie di Moravia. Va ricordato che il rapporto dello scrittore con il cinema fu particolarmente intenso. Per un verso, la “settima arte” rivestì un ruolo non secondario nella formazione ed esperienza estetica dell’Autore romano, che al cinema si interessò anche professionalmente nelle vesti di critico cinematografico, a partire dal primo dopoguerra, dapprima, per La nuova Europa e Libera stampa, poi, per L’Europeo e L’Espresso, a cui dobbiamo aggiungere l’attività di saggista per numerose riviste specializzate. Per altro verso, il cinema italiano non solo ha attinto a “mani basse” dall’opera di Moravia per sceneggiature di pellicole, che furono pietre miliari della sua storia. L’elenco dei romanzi e racconti adattati al grande schermo rende conto della grande influenza nella cultura italiana degli anni Cinquanta e Sessanta: La provinciale (1953) di Mario Soldati, La romana (1954) di Luigi Zampa, Peccato che sia una canaglia (1954) di Alessandro Blasetti, Racconti romani (1955) di Gianni Franciolini, La ciociara (1960) di Vittorio de Sica, La giornata balorda (1960) di Mauro Bolognini, Risate di gioia (1960) di Mario Monicelli, Agostino (o la perdita dell’innocenza) (1962) di Mauro Bolognini, La noia (1963) di Damiano Damiani, Gli indifferenti (1964) di Francesco Maselli, Le ore nude (1964) di Marco Vicario, La donna invisibile (1969) di Paolo Spinola, Una ragazza piuttosto complicata (1969) di Damiano Damiani, L’amore coniugale (1970) di Dacia Maraini, Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci, e molti altri ancora. Come avremo modo soltanto di accennare, il successo della letteratura moraviana nel mondo del cinema italiano si deve a molteplici fattori, tra cui la raffigurazione dei personaggi e degli ambienti, la focalizzazione su certe tematiche e, non da ultimo, lo stile narrativo, particolarmente adatto alle trasposizioni cinematografiche. Come caso di studio, ci soffermeremo, infine, sulla figura materna della versione filmica de La noia di Damiani, con l’obiettivo di verificare se nel passaggio dal libro alla pellicola, quella particolare connotazione della madre autoritaria abbia subito delle alterazioni. L’ipotesi che muove l’analisi è che la stesura delle sceneggiature, la raffigurazione dei personaggi e la messa in scena delle sequenze filmiche facciano emergere un riadattamento adeguato al largo pubblico, con il sovvertimento dell’andamento cronologico, alcune “lacune” di ordine psicologico nella raffigurazione dei protagonisti e un certo cedimento moralistico alla cultura ancora dominante negli anni ’50 e ’60, in cui la figura materna, sia quando è incattivita dalla povertà che quando è inaridita dalla ricchezza, anela comunque agli affetti familiari, trovando in essi una qualche forma di redenzione. (shrink)

From the second half of the 16th century the question about Platonis Aristotelisque Concordia is no more a merely doctrinal problem, but it involves a discussion about methodus and ordo, according to the importance given to them in the coeval philosophical debate. In many cases underscoring Plato’s scientific merits, not only about inventio but also about the transmission of knowledge, meant promoting Platonism as a philosophy suitable for University. In this context the need for Platonic handbooks is perceived as compelling, (...) due to the recognised didactic superiority of Aristotle’s writings. The Compendio and the Vere Conclusioni are the specific contribution of Francesco Verino secondo, who gave holiday lectures on Plato at the Florentine Studium from 1576 to 1579. The present study focuses on the platonism of Francesco Verino, covering nearly all his works, printed and manuscript, in a constant comparison with his noble predecessors Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola and Francesco Cattani da Diacceto. In order to give light to Verino’s lectureship, particular attention is paid to glosses in his working and teaching copy of Platonis Opera. (shrink)

Tommaso Giannini (1556-1638) was a prominent professor at the Ferrara Studium between the sixteenth and the seventeenth century. Probably influenced by Platonic sympathies nurtured by the Court and partly by the University milieu, in 1587 he published his first work titled De providentia ad sententiam Platonis et Platonicorum liber unus, which was a catalyst for his academic career. His De providentia displays a large amount of sources always tacitly used: Marsilio Ficino, Jacques Charpentier, Giulio Serina, Stefano Tiepolo, Teofilo Zimara, Bessarion, (...) Agostino Steuco, Giovanni Pico della Mirandola and amid the ancients Plotinus, Plutarch, Sirianus, Proclus (read through Teofilo Zimara and Leonico Tomeo), Iamblichus, Apuleius, Calcidius, Ammonius, Psellus. Though a compilative work, the De providentia retains nonetheless a great importance insofar as it contributes to focus the bibliotheca platonica of the time, furthermore in the same years and place of Francesco Patrizi da Cherso’s teaching. (shrink)

La rivoluzione arginata è un'opera misteriosa. Si tratta della traduzione di un discorso parlamentare di Edmund Burke che, come recita il frontespizio, è stato «per la prima volta italianizzato». Da chi, però, non è dato saperlo. Pubblicato nel 1798, fin da subito l'opuscolo di appena 32 pagine è avvolto da un fitto mistero: il traduttore è anonimo, sicché è un enigma anche il motivo della stessa operazione editoriale. Si sa solo che il tipografo è Francesco Andreola e (...) che la città della stampa è Venezia. Altri dettagli sono oscuri e, presumibilmente, ormai perduti per sempre. Non è perduta però l'opera in sé, ancora rinvenibile in qualche biblioteca e qui per la prima volta digitalizzata. (shrink)

Tentazione di Siracusa, "Tentación de Siracusa", es el título que eligió Jacques Derrida (1930-2004) para la breve, aunque magistral, conferencia que pronunció el 18 de enero de 2001 en Ortigia, en el Palacio del Senado siracusano. Allí fue convocado por las autoridades del Collegio Siciliano di Filosofía y por el entonces intendente de la comuna sícula, Giambattista Bufardeci, quien le otorgó en tal ocasión la ciudadanía honoraria de esa antigua y culturalmente variada urbe mediterránea, una ciudad atravesada milenariamente por la (...) tensión entre filosofía y política, que vio partir por mar, reducido a esclavo, a Platón, y que se manchó con la sangre de Arquímedes, derramada por un soldado romano invasor. La lectio derridiana, que propone sin ambages una nueva figura para la relación entre filosofía y política, abordando el fenómeno de la "mundialización" así como la pregunta por el sentido contemporáneo de la ciudadanía, debió esperar casi dos décadas para ver la luz. Recién en 2018 la editorial Mimesis, sello italiano de incuestionable prestigio, la hizo accesible dentro de su colección "eterotopie", dirigida por los profesores Salvo Vaccaro (Università degli Studi di Palermo) y Pierre Dalla Vigna (Università dell'Insubria). El texto fue traducido íntegro para su publicación por Francesco Garritano y Marina Machì (ambos de la Università della Calabria), quienes ofrecieron, como adelanto de su versión, un breve fragmento por primera vez en la edición del 21 de enero de 2001 del periódico italiano Repubblica, bajo el título Il tiranno e il filosofo). (shrink)

This book is both an introduction to and a research work on Meinongianism. “Meinongianism” is taken here, in accordance with the common philosophical jargon, as a general label for a set of theories of existence – probably the most basic notion of ontology. As an introduction, the book provides the first comprehensive survey and guide to Meinongianism and non-standard theories of existence in all their main forms. As a research work, the book exposes and develops the most up-to-date Meinongian theory (...) (called modal Meinongianism), applies it to specific fields, and discusses its open problems. Part I of the book provides a historical introduction to, and critical discussion of, the dominant philosophical view of existence: the “Kantian-Fregean-Quinean” perspective. Part II is the full-fledged introduction to the Meinongian theories of existence as a real property of individuals: after starting with the so-called naïve Meinongian conception and its problems, it provides a self-contained presentation of the main neo-Meinongian proposals, and a detailed discussion of their strengths and weaknesses. Part III develops a specific neo-Meinongian theory of existence employing a model-theoretic semantic framework. It discusses its application to the ontology and semantics of fictional objects, and its open problems. The methodology of the book follows the most recent trends in analytic ontology. In particular, the meta-ontological point of view is largely privileged. (shrink)

We outline a neo-Meinongian framework labeled as Modal Meinongian Metaphysics (MMM) to account for the ontology and semantics of fictional discourse. Several competing accounts of fictional objects are originated by the fact that our talking of them mirrors incoherent intuitions: mainstream theories of fiction privilege some such intuitions, but are forced to account for others via complicated paraphrases of the relevant sentences. An ideal theory should resort to as few paraphrases as possible. In Sect. 1, we make this explicit via (...) two methodological principles, called the Minimal Revision and the Acceptability Constraint. In Sect. 2, we introduce the standard distinction between internal and external fictional discourse. In Sects. 3–5, we discuss the approaches of (traditional) Meinongianism, Fictionalism, and Realism—and their main troubles. In Sect. 6 we propose our MMM approach. This is based upon (1) a modal semantics including impossible worlds (Subsect. 6.1); (2) a qualified Comprehension Principle for objects (Subsect. 6.2); (3) a notion of existence-entailment for properties (Subsect. 6.3). In Sect. 7 we present a formal semantics for MMM based upon a representation operator. And in Sect. 8 we have a look at how MMM solves the problems of the three aforementioned theories. (shrink)

Accounts of propositions as sets of possible worlds have been criticized for conflating distinct impossible propositions. In response to this problem, some have proposed to introduce impossible worlds to represent distinct impossibilities, endorsing the thesis that impossible worlds must be of the same kind; this has been called the parity thesis. I show that this thesis faces problems, and propose a hybrid account which rejects it: possible worlds are taken as concrete Lewisian worlds, and impossibilities are represented as set-theoretic constructions (...) out of them. This hybrid account (1) distinguishes many intuitively distinct impossible propositions; (2) identifies impossible propositions with extensional constructions; (3) avoids resorting to primitive modality, at least so far as Lewisian modal realism does. (shrink)

We present and defend the Australian Plan semantics for negation. This is a comprehensive account, suitable for a variety of different logics. It is based on two ideas. The first is that negation is an exclusion-expressing device: we utter negations to express incompatibilities. The second is that, because incompatibility is modal, negation is a modal operator as well. It can, then, be modelled as a quantifier over points in frames, restricted by accessibility relations representing compatibilities and incompatibilities between such points. (...) We defuse a number of objections to this Plan, raised by supporters of the American Plan for negation, in which negation is handled via a many-valued semantics. We show that the Australian Plan has substantial advantages over the American Plan. (shrink)

A counterpossible conditional is a counterfactual with an impossible antecedent. Common sense delivers the view that some such conditionals are true, and some are false. In recent publications, Timothy Williamson has defended the view that all are true. In this paper we defend the common sense view against Williamson’s objections.

An overview of hyperintensionality is provided. Hyperintensional languages have expressions with meanings that are more fine-grained than necessary equivalence. That is, the expressions may necessarily co-apply and yet be distinct in meaning. Adequately accounting for theories cast in hyperintensional languages is important in the philosophy of language; the philosophy of mind; metaphysics; and elsewhere. This entry presents a number of areas in which hyperintensionality is important; a range of approaches to theorising about hyperintensional matters; and a range of debates that (...) attention to hyperintensional constructions has generated. (shrink)

I want to model a finite, fallible cognitive agent who imagines that p in the sense of mentally representing a scenario—a configuration of objects and properties—correctly described by p. I propose to capture imagination, so understood, via variably strict world quantifiers, in a modal framework including both possible and so-called impossible worlds. The latter secure lack of classical logical closure for the relevant mental states, while the variability of strictness captures how the agent imports information from actuality in the imagined (...) non-actual scenarios. Imagination turns out to be highly hyperintensional, but not logically anarchic. Section 1 sets the stage and impossible worlds are quickly introduced in Sect. 2. Section 3 proposes to model imagination via variably strict world quantifiers. Section 4 introduces the formal semantics. Section 5 argues that imagination has a minimal mereological structure validating some logical inferences. Section 6 deals with how imagination under-determines the represented contents. Section 7 proposes additional constraints on the semantics, validating further inferences. Section 8 describes some welcome invalidities. Section 9 examines the effects of importing false beliefs into the imagined scenarios. Finally, Sect. 10 hints at possible developments of the theory in the direction of two-dimensional semantics. (shrink)

this book concerns the debates on the functions of "imagination" (phantasia, imaginatio) in the arousal of passions in the Aristotelian and post-Aristotelian traditions till the XVIIth Century. The simple fact that often a mental representation is followed by pleasure or sorrow and that these emotions can cause actions, became progressively part of a wider theory of animal and human behaviour. In the case of human behaviour, the "force of imagination" became a kind of general justification of all kind of anomic (...) and irregular behaviour and beliefs, including true paranormal conditions of the body. The book recapitulates the main evolution of this way of seeing passions - from Aristotle to Avicenna and his Latin followers - till the age of the authors who see the inner work of "imagination" as a constant danger for human reason, and imagination itself as faculty to control with care for its propension to be the "advocate" of the "inferior part of the soul", such as Gianfrancesco Pico, Juan Luis Vivés, Pierre Charron, Blaise Pascal and a large part of the French Augustinian Moral Philosophers. (shrink)

We present a theory of truth in fiction that improves on Lewis's [1978] ‘Analysis 2’ in two ways. First, we expand Lewis's possible worlds apparatus by adding non-normal or impossible worlds. Second, we model truth in fiction as belief revision via ideas from dynamic epistemic logic. We explain the major objections raised against Lewis's original view and show that our theory overcomes them.

The Humean view that conceivability entails possibility can be criticized via input from cognitive psychology. A mainstream view here has it that there are two candidate codings for mental representations (one of them being, according to some, reducible to the other): the linguistic and the pictorial, the difference between the two consisting in the degree of arbitrariness of the representation relation. If the conceivability of P at issue for Humeans involves the having of a linguistic mental representation, then it is (...) easy to show that we can conceive the impossible, for impossibilities can be represented by meaningful bits of language. If the conceivability of P amounts to the pictorial imaginability of a situation verifying P, then the question is whether the imagination at issue works purely qualitatively, that is, only by phenomenological resemblance with the imagined scenario. If so, the range of situations imaginable in this way is too limited to have a significant role in modal epistemology. If not, imagination will involve some arbitrary labeling component, which turns out to be sufficient for imagining the impossible. And if the relevant imagination is neither linguistic nor pictorial, Humeans will appear to resort to some representational magic, until they come up with a theory of a ‘third code’ for mental representations. (shrink)

Pragmatic vindicatory genealogies provide both a cause and a rationale and can thus affect the space of reasons. But how far is the space of reasons affected by this kind of genealogical argument? What normative and evaluative implications do these arguments have? In this paper, I unpack this issue into three different sub-questions and explain what kinds of reasons they provide, for whom are these reasons, and for what. In relation to this final sub-question I argue, most importantly, that these (...) arguments are ambiguous about what they give us reasons for, meaning that they can be interpreted both as justifications for recognizing the normative standing of certain norms, values, and practices - and thus for living by them - and as excuses for those that do so. I illustrate this point by reference to the genealogical vindication of honour cultures, showing how the vindicatory argument can illuminate such case as one of excusing moral ignorance. Drawing on legal theory and moral philosophy, I show that different evaluative and normative implications hang on the result of the interpretation as either justification or excuse, and show that this ambiguity is a virtue rather than a limitation. (shrink)

A logic is called 'paraconsistent' if it rejects the rule called 'ex contradictione quodlibet', according to which any conclusion follows from inconsistent premises. While logicians have proposed many technically developed paraconsistent logical systems and contemporary philosophers like Graham Priest have advanced the view that some contradictions can be true, and advocated a paraconsistent logic to deal with them, until recent times these systems have been little understood by philosophers. This book presents a comprehensive overview on paraconsistent logical systems to change (...) this situation. The book includes almost every major author currently working in the field. The papers are on the cutting edge of the literature some of which discuss current debates and others present important new ideas. The editors have avoided papers about technical details of paraconsistent logic, but instead concentrated upon works that discuss more 'big picture' ideas. Different treatments of paradoxes takes centre stage in many of the papers, but also there are several papers on how to interpret paraconistent logic and some on how it can be applied to philosophy of mathematics, the philosophy of language, and metaphysics. (shrink)

Manufacturing and industry practices are undergoing an unprecedented revolution as a consequence of the convergence of emerging technologies such as artificial intelligence, robotics, cloud computing, virtual and augmented reality, among others. This fourth industrial revolution is similarly changing the practices and capabilities of operators in their industrial environments. This paper introduces and explores the notion of the Operator 4.0 as well as how this novel way of conceptualizing the human operator necessarily implicates human values in the technologies that constitute it. (...) The design approach known as value sensitive design (VSD) is used to explore how these Operator 4.0 technologies can be designed for human values. Expert elicitation surveys were used to determine the values of industry stakeholders and examples of how the VSD methodology can be adopted by engineers in order to design for these values is illustrated. The results provide preliminary adoption strategies that industrial teams can take to Operator 4.0 technology for human values. (shrink)

An interpretation of Wittgenstein’s much criticized remarks on Gödel’s First Incompleteness Theorem is provided in the light of paraconsistent arithmetic: in taking Gödel’s proof as a paradoxical derivation, Wittgenstein was drawing the consequences of his deliberate rejection of the standard distinction between theory and metatheory. The reasoning behind the proof of the truth of the Gödel sentence is then performed within the formal system itself, which turns out to be inconsistent. It is shown that the features of paraconsistent arithmetics match (...) with some intuitions underlying Wittgenstein’s philosophy of mathematics, such as its strict finitism and the insistence on the decidability of any mathematical question. (shrink)

The idea of a distinctively political normativity came under sustained fire lately. Here I formulate, test, and reject a moderate and promising way of conceiving it. According to this conception, political normativity is akin to the kind of normativity at play in all-things-considered judgments, i.e., those judgments that weight together all the relevant reasons to determine what practical rationality as such requires to do. I argue that even when we try to conceive political normativity in this all-things-considered way, and even (...) when we do not concede from the get-go that moral reasons necessarily trump or override normative reasons of a different kind, political normativity is still reducible to morality, because the peculiar content of all-things-considered political oughts can be explained by the interplay of general moral principles and contextual facts that do not obtain exclusively in political scenarios. If my arguments are correct, I provide political realists with one more reason to withdraw from the metaethical battle over the idea of a distinctively political normativity and show that the moralist approach is defensible against a prima facie promising, but ultimately untenable, alternative. (shrink)

'Ontology and Metaontology: A Contemporary Guide' is a clear and accessible survey of ontology, focussing on the most recent trends in the discipline. -/- Divided into parts, the first half characterizes metaontology: the discourse on the methodology of ontological inquiry, covering the main concepts, tools, and methods of the discipline, exploring the notions of being and existence, ontological commitment, paraphrase strategies, fictionalist strategies, and other metaontological questions. The second half considers a series of case studies, introducing and familiarizing the reader (...) with concrete examples of the latest research in the field. The basic sub-fields of ontology are covered here via an accessible and captivating exposition: events, properties, universals, abstract objects, possible worlds, material beings, mereology, fictional objects. -/- The guide's modular structure allows for a flexible approach to the subject, making it suitable for both undergraduates and postgraduates looking to better understand and apply the exciting developments and debates taking place in ontology today. (shrink)

I propose a comprehensive account of negation as a modal operator, vindicating a moderate logical pluralism. Negation is taken as a quantifier on worlds, restricted by an accessibility relation encoding the basic concept of compatibility. This latter captures the core meaning of the operator. While some candidate negations are then ruled out as violating plausible constraints on compatibility, different specifications of the notion of world support different logical conducts for negations. The approach unifies in a philosophically motivated picture the following (...) results: nothing can be called a negation properly if it does not satisfy Contraposition and Double Negation Introduction; the pair consisting of two split or Galois negations encodes a distinction without a difference; some paraconsistent negations also fail to count as real negations, but others may; intuitionistic negation qualifies as real negation, and classical Boolean negation does as well, to the extent that constructivist and paraconsistent doubts on it do not turn on the basic concept of compatibility but rather on the interpretation of worlds. (shrink)

We reply to various arguments by Otavio Bueno and Edward Zalta (‘Object Theory and Modal Meinongianism’) against Modal Meinongianism, including that it presupposes, but cannot maintain, a unique denotation for names of fictional characters, and that it is not generalizable to higher-order objects. We individuate the crucial difference between Modal Meinongianism and Object Theory in the former’s resorting to an apparatus of worlds, possible and impossible, for the representational purposes for which the latter resorts to a distinction between two kinds (...) of predication, exemplification and encoding. We show that encoding has fewer forerunners in the history of philosophy than Bueno and Zalta want, and that there’s a reason why the notion has been found baffling by some. (shrink)

Sometimes mereologists have problems with counting. We often don't want to count the parts of maximally connected objects as full-fledged objects themselves, and we don't want to count discontinuous objects as parts of further, full-fledged objects. But whatever one takes "full-fledged object" to mean, the axioms and theorems of classical, extensional mereology commit us to the existence both of parts and of wholes – all on a par, included in the domain of quantification – and this makes mereology look counterintuitive (...) to various philosophers. In recent years, a proposal has been advanced to solve the tension between mereology and familiar ways of counting objects, under the label of Minimalist View . The Minimalist View may be summarized in the slogan: "Count x as an object iff it does not overlap with any y you have already counted as an object". The motto seems prima facie very promising but, we shall argue, when one looks at it more closely, it is not. On the contrary, the Minimalist View involves an ambiguity that can be solved in quite different directions. We argue that one resolution of the ambiguity makes it incompatible with mereology. This way, the Minimalist View can lend no support to mereology at all. We suggest that the Minimalist View can become compatible with mereology once its ambiguity is solved by interpreting it in what we call an epistemic or conceptual fashion: whereas mereology has full metaphysical import, the Minimalist View may account for our ways of selecting "conceptually salient" entities. But even once it is so disambiguated, it is doubtful that the Minimalist View can help to make mereology more palatable, for it cannot make it any more compatible with commonsensical ways of counting objects. (shrink)

Philosophical dialetheism, whose main exponent is Graham Priest, claims that some contradictions hold, are true, and it is rational to accept and assert them. Such a position is naturally portrayed as a challenge to the Law of Non-Contradiction (LNC). But all the classic formulations of the LNC are, in a sense, not questioned by a typical dialetheist, since she is (cheerfully) required to accept them by her own theory. The goal of this paper is to develop a formulation of the (...) Law which appears to be unquestionable, in the sense that the Priestian dialetheist is committed to accept it without also accepting something inconsistent with it, on pain of trivialism—that is to say, on pain of lapsing into the position according to which everything is the case. This will be achieved via (a) a discussion of Priest's dialetheic treatment of the notions of rejection and denial; and (b) the characterization of a negation via the primitive intuition of content exclusion. Such a result will not constitute a cheap victory for the friends of consistency. We may just learn that different things have been historically conflated under the label of 'Law of Non-Contradiction'; that dialetheists rightly attack some formulations of the Law, and orthodox logicians and philosophers have been mistaken in assimilating them to the indisputable one. (shrink)

_Framing effects_ concern the having of different attitudes towards logically or necessarily equivalent contents. Framing is of crucial importance for cognitive science, behavioral economics, decision theory, and the social sciences at large. We model a typical kind of framing, grounded in (i) the structural distinction between beliefs activated in working memory and beliefs left inactive in long term memory, and (ii) the topic- or subject matter-sensitivity of belief: a feature of propositional attitudes which is attracting growing research attention. We introduce (...) a class of models featuring (i) and (ii) to represent, and reason about, agents whose belief states can be subject to framing effects. We axiomatize a logic which we prove to be sound and complete with respect to the class. (shrink)

I present an approach to our conceiving absolute impossibilities—things which obtain at no possible world—in terms of ceteris paribus intentional operators: variably restricted quantifiers on possible and impossible worlds based on world similarity. The explicit content of a representation plays a role similar in some respects to the one of a ceteris paribus conditional antecedent. I discuss how such operators invalidate logical closure for conceivability, and how similarity works when impossible worlds are around. Unlike what happens with ceteris paribus counterfactual (...) conditionals, the closest worlds are relevantly closest belief-worlds: closest to how things are believed to be, rather than to how they are. Also, closeness takes into account apriority and the opacity of intentional contexts. (shrink)

Recenze: Lorraine DASTON - Elizabeth LUNBECK, E., Histories of Scientific Observation. Chicago - London: University of Chicago Press 2011, 460 pp.

In this paper, I argue that one approach to normative political theory, namely contextualism, can benefit from a specific kind of historical inquiry, namely genealogy, because the latter provides a solution to a deep-seated problem for the former. This problem consists in a lack of critical distance and originates from the justificatory role that contextualist approaches attribute to contextual facts. I compare two approaches to genealogical reconstruction, namely the historiographical method pioneered by Foucault and the hybrid method of pragmatic genealogy (...) as practiced by Bernard Williams, arguing that they both ensure an increase in critical distance while preserving contextualism’s distinctiveness. I also show, however, that only the latter provides normative action-guidance and can thus assist the contextualist theorist in the crucial task of discerning how far certain contextual facts deserve their justificatory role. I prove this point by showing how a pragmatic genealogy of the practice of punishment can inform the contextualist’s reflection about the role this practice should play in a transitional scenario, i.e. in the set of circumstances societies go through in the aftermath of large-scale violence and human rights violations. (shrink)

Starting from the ‘Dewey Lectures’, Rawls presents his conception of justice within a contextualist framework, as an elaboration of the basic ideas embedded in the political culture of liberal-democratic societies. But how are these basic ideas to be justified? In this article, I reconstruct and criticize Rawls’s strategy to answer this question. I explore an alternative strategy, consisting of a genealogical argument of a pragmatic kind – the kind of argument provided by authors like Bernard Williams, Edward Craig and Miranda (...) Fricker. I outline this genealogical argument drawing on Rawls’s reconstruction of the origins of liberalism. Then, I clarify the conditions under which this kind of argument maintains vindicatory power. I claim that the argument satisfies these conditions and that pragmatic genealogy can thus partially vindicate the basic ideas of liberal-democratic societies. (shrink)

We find a simple counterfactual acceptable, it is argued, to the extent that (i) our probability of the consequent under the thought experiment of counterfactually supposing the antecedent is high, (ii) provided the latter is on-topic with respect to the former. Counterfactual supposition is represented by Lewisian imaging. Topicality, by an algebra of subject matters. A topic-sensitive probabilistic logic is then provided, to reason about the acceptability of simple counterfactuals.

In this paper I argue that Bykvist’s recent challenges to the fitting-attitude account of value (FA) can be successfully met. The challenge from solitary goods claims that FA cannot account for the value of states of affairs which necessarily rule out the presence of favouring subjects. I point out the modal reasons why FA can account for solitary goods by appealing to contemplative attitudes. Bykvist’s second challenge, the ‘distance problem’, questions the ability of FA to match facts about the intensity (...) of fitting attitudes and facts about value, particularly in the case of solitary goods. I argue that this challenge can be met by including the notion of a veil of ignorance in the formulation of FA, and understanding its role as bracketing the relevance of certain facts when determining the fittingness of attitudes to states of affairs. (shrink)