L’Exercitium academicum circa praescientiam daemonum (1666), pubblicato nella riformata Jena, tematizza una questione dibattuta nella Scolastica fra XIII e XIV secolo ma le cui radici risalgono ad Agostino d'Ippona, cui si deve il primo testo sull'argomento: la prescienza dei demoni. L'analisi segue la traccia del De divinatione daemonum agostiniano, mentre appare critica nei confronti delle posizioni di Tommaso d'Aquino e dei tomisti. Ad esse, in particolare riguardo alla natura delle facoltà intellettive demoniche, egli contrappone Giovanni Duns Scoto, Durando di san (...) Porziano e non meglio specificati nominales, accomunati in un indistinto riferimento alla teoria delle species. Ciò non toglie che il testo segua poi Tommaso nell'articolazione delle forme di prescienza dei demoni e nella definizione di questa come conoscenza congetturale. Scopo del nostro intervento sarà infatti mostrare, attraverso l'analisi che per la prima volta sarà condotta sul testo, lo spaccato di una comunità conversazionale nella quale le linee di forza e le distinzioni che animano il dibattito si mostrano autonome rispetto alle posizioni storiche di cattolici e riformati. Nell’Exercitium, Duns Scoto è contrapposto ai tomisti e, con Agostino e Durando di san Porziano – che costituisce una fonte comune del dibattito secentesco insieme a Bonaventura, Aureolo, Suarez, Vazquez, Gregorio di Valencia, e in tale veste sarà ripreso di lì a poco da Leibniz -, è cooptato tra gli autori a sostegno della sua tesi. Lungi dall'essere un esercizio di eclettismo o la stanca ripetizione di formule scolastiche, lo scritto getta luce su un dibattito universitario nel quale le fonti sono usate non come auctoritates ma quale repertorio di teorie da smontare e rimontare; ad esse l’Exercitium attinge per soluzioni che si definiscono in relazione a finalità filosofiche o dottrinali, ma non politiche né confessionali. (shrink)

La storia di un’idea che ha attraversato i secoli, dal mondo pagano e poi cristiano fino alle soglie dell’età contemporanea, passando per il lungo millennio medievale: l’intelligenza del diavolo, che si manifesta nella preveggenza e in capacità cognitive fuori dal comune. Ma qual è la natura di questo potere? Com’è possibile che Lucifero, principe degli angeli e sommamente sapiente, abbia peccato? E ciò significa che l’intelligenza è intrinsecamente demoniaca? Conoscenza e bontà possono convivere, e si può essere al contempo intelligenti (...) e malvagi, o addirittura malvagi perché intelligenti? Tutti interrogativi che si raccolgono attorno alla figura teologica del diavolo e al suo “scandaloso” potere cognitivo. Una questione che si muove tra filosofia, teologia, letteratura, scienza e mito, tessendo le fila di una storia intellettuale che vede spesso come protagonisti autori e testi poco noti, ma capaci di raccogliere il testimone di auctoritas come Agostino d’Ippona e Anselmo d’Aosta, Dante e Tommaso d’Aquino, Cartesio e Voltaire. (shrink)

Since the second half of the XXth century, researchers in cybernetics and AI, neural nets and connectionism, Artificial Life and new robotics have endeavoured to build different machines that could simulate functions of living organisms, such as adaptation and development, problem solving and learning. In this book these research programs are discussed, particularly as regard the epistemological issues of the behaviour modelling. One of the main novelty of this book consists of the fact that certain projects involving the building of (...) simulative machine models before the advent of cybernetics are been investigated for the first time, on the basis of little known, and sometimes completely forgotten or unpublished, texts and figures. These pre-cybernetics projects can be considered as steps toward the “discovery” of a modelling methodology that has been fully developed by those more recent research programs, and that shares some of their central goals and key methodological proposals. -/- More info in Springer link: http://www.springer.com/new+%26+forthcoming+titles+%28default%29/book/978-1-4020-0606-7 -/- This book is the English translation of La scoperta dell'artificiale, Dunod/Masson, Milan, 1998. (shrink)

Il Tractatus de praedestinatione et de praescientia Dei respectu futurorum contingentium, composto da Guglielmo di Ockham tra il 1321 e il 1324, costituisce uno snodo cruciale nelle discussioni medievali sul tema del fatalismo teologico e sulle questioni che vi sono implicate, come la conoscenza dei futuri contingenti e il compatibilismo tra prescienza divina e libero arbitrio. Raccogliendo e ripensando fonti di diversa provenienza, Roberto Grossatesta e Pietro Lombardo in primis, il Venerabilis inceptor sposta il problema sul piano epistemologico e (...) linguistico, affrontandolo dal punto di vista di un’analisi proposizionale degli enunciati che parlano dei contingenti futuri. In questo modo egli affida agli strumenti dell’argomentazione logica e dell’indagine semantica il compito di sciogliere le implicazioni teologiche della questione, in una teoria che garantisca al contempo la prescienza di Dio e la libera volontà umana. Il principio della soluzione ockhamiana, che costituirà un punto di riferimento – pro o contro – nei dibattiti teologici del XIV secolo, consiste nell’intreccio tra analisi proposizionale e logica fidei, in nome di una soluzione pragmatica del dilemma compatibilista: come mostra il caso esemplare della profezia, gli enunciati della scienza divina costituiscono i postulati di una logica della credenza che poi procede da quelle premesse, attraverso una catena argomentativa, a formulare i precetti che guideranno i passi del cristiano nel mondo. Il volume rende disponibile per la prima volta al lettore non soltanto la prima traduzione in italiano del Tractatus, ma anche un ricco apparato di testi (le distinctiones 38, 39 e 40 dell’Ordinatio, i capitoli 7 e 27 della Summa Logicae, la quaestio IV.4 dei Quodlibeta, le Quaestiones in Libros Physicorum 41 e 44, il prologo della Expositio in libros Physicorum e un estratto dalla Expositio in Librum Perihermeneias Aristotelis) che consente di ricostruire in modo coerente una teoria ockhamiana della contingenza e di gettare luce su una nuova interpretazione del pensiero del teologo e filosofo inglese. (shrink)

The article deals with present day challenges related to the employ of technology in order to reduce the exposition of the human being to the risks and vulnerability of his or her existential condition. According to certain transhumanist and posthumanist thinkers, as well as some supporters of human enhancement, essential features of the human being, such as vulnerability and mortality, ought to be thoroughly overcome. The aim of this article is twofold: on the one hand, we wish to carry out (...) an enquiry into the ontological and ethical thinking of Hans Jonas, who was among the first to address these very issues with great critical insight; on the other hand, we endeavour to highlight the relevance of Jonas’ reflections to current challenges related to bioscience and biotechnological progress. In this regard, we believe that the transcendent and metaphysical relevance of the «image of man» introduced by Jonas is of paramount importance to understand his criticism against those attempts to ameliorate the human being by endangering his or her essence. (shrink)

An imaginary dialogue between Andrea Bonomi and Gonzalo Pirobutirro (the main character of Gadda’s novel La cognizione del dolore) aiming to challenge Bonomi’s tenet that a work of fiction defines a domain of objects which is closed with respect to the actual world.

Nella «Metafisica» Aristotele fonda una scienza filosofica a cui assegna il compito di occuparsi dell’«essere in quanto essere», indagandone le cause e i principi primi. Egli denomina questa scienza «filosofia prima» e la eleva a forma massima di sapere. La filosofia prima è abitualmente riconosciuta come il punto di partenza per la formazione della disciplina filosofica che, a partire dalla prima età moderna, chiamiamo ontologia. Nel delinearne la fisionomia teorica e lo statuto, tuttavia, Aristotele si confronta da vicino con un (...) altro autorevole modello di scienza suprema, avente anch’essa l’essere per oggetto proprio: la dialettica platonica. Scopo di questo libro è esplorare il retroterra platonico della progettazione aristotelica della filosofia prima e mostrare, attraverso dettagliate ricostruzioni testuali, che Aristotele ha elaborato questa scienza come un’alternativa alla dialettica platonica. (shrink)

Dietro a un titolo che rischia di appiattirlo sulla stretta attualità (I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe, Milano, Bompiani, 2020), il volume di Valentina Pisanty segna invece un passaggio importante in una ricerca pluriennale che, a partire dal caso della storiografia (se così può dirsi) negazionista, si è dedicata allo studio di quella particolare forma di narratività che è il discorso storico. Senza nulla togliere all’importanza degli aspetti storici del revisionismo e dei corto circuiti della memoria, (...) quest’ultimo lavoro, che raccoglie un quinquennio di riflessioni (2015-2019), tematizza nella maniera più esplicita il leitmotiv di quelle ricerche: la consapevolezza cioè che l’indagine storiografica non trova il proprio oggetto semplicemente in natura o in un rapporto ingenuamente descrittivo con i fatti della realtà, ma lo costruisce nella relazione, di volta in volta ricalibrata, tra fatto e oggetto storiografico. (shrink)

È possibile ammettere, pensare e addirittura verificare che una cosa che sia accaduta nel passato possa non essere più accaduta in un momento presente? Ad esempio, si può, oggi, fare in modo che Roma non sia mai stata fondata? Come è possibile mutare la regolare causalità degli accadimenti di quel passato – il nostro e quello degli uomini che ci hanno preceduti – che sembra essere fondato sui vincoli di una strettissima necessità? E che dire quando questo sconvolgimento dell’ordine del (...) mondo arriva a toccare anche le possibilità logiche o le scelte di un “Divin Fattore”? D’altro canto, se ribaltiamo il discorso e ci volgiamo al futuro, sapere che qualcuno conosce in anticipo che ogni cosa avverrà o non avverrà, e come e quando, non limita forse la nostra libertà? Quale strada scegliere, allora? Abbandonare il principio di contraddizione, su cui è fondata la nostra logica, oppure lasciar cadere il predicato dell’onnipotenza e dell’onniscienza, che garantiscono a Dio di affacciarsi sulla scena del mondo contingente – quello che noi, qui e ora, vediamo e tocchiamo prima ancora di rappresentarcelo in modo astratto – cambiandolo a suo piacimento? O dovremo abbandonare il principio di un agente divino capace di sapere ogni cosa in anticipo, perché fuori dal tempo e tale da poter cambiare l’ordine nel quale siamo stati gettati? Dovremo forse limitarne la potenza a quella di un orologiaio sottomesso alle leggi che egli stesso ha creato per regolare il mondo? Oppure rinunciare alla capacità di agire diversamente da come si agisca, di dialogare con chi agisce secondo schemi e modelli di credenza radicalmente, o parzialmente diversi dai nostri, o anche solo di pensarlo e di immaginarlo possibile? Insomma, ci sono più cose in cielo e in terra o nella filosofia? Le domande si succedono l’una all’altra come le teste dell’Idra di Lerna, che ricrescevano dalla radice una volta tagliate*. Per usare un celebre modo di dire, molto usato nella filosofia italiana del secolo scorso, sembra quasi che si voglia in questo modo “mettere le brache al mondo”. La costellazione di temi e questioni che si viene così definendo è espressa filosoficamente con il termine “compatibilismo teologico” e riguarda in generale la possibilità che siano conciliabili, in modo tale che l’esistenza dell’uno non implichi la necessaria negazione dell’altro, la necessità dell’ordine del mondo, e con esso l’onnipotenza e la prescienza proprie di un soggetto divino come quello delle grandi religioni monoteiste, da una parte, e la contingenza degli accadimenti, e dunque la libertà umana di autodeterminarsi e di poter agire diversamente da come agisce, dall'altra. All’interno di una tradizione generalmente orientata a privilegiare l’aspetto etico del problema e a ragionare dunque a partire dal fondamento indiscusso del libero arbitrio, abbiamo scelto invece di affrontare le soluzioni di quegli autori che hanno individuato la chiave per affrontare il dilemma compatibilista in una prospettiva legata ad atteggiamenti di natura epistemica, come “credere”, “conoscere”, “sapere”, e percettiva, come “vedere”. (shrink)

The paper focuses on Anthony de Jasay's "anarcho-liberalism" as based oon his game-theoretic approach to the problem of public goods provision.

Gli approcci della tradizione filosofica alla morale si fondano prevalentemente su concetti e teorie metafisiche e teologiche. Tra i concetti etici tradizionali, il più importante è la Teoria del Comando Divino (DCT). Secondo la DCT, Dio dà fondamenti morali all’umanità attraverso la sua creazione e attraverso la Rivelazione. Moralità e Divinità sono inseparabili fin dalle civiltà più remote. Questi concetti si inseriscono in un quadro teologico e sono accettati principalmente dalla maggior parte dei seguaci delle tre tradizioni abramitiche: ebraismo, cristianesimo (...) e islam: la parte più considerevole della popolazione umana. Tenendo come fondamento la fede e la Rivelazione, le Teorie del Comando Divino non sono strettamente soggette alla dimostrazione. Gli oppositori alla concezione della morale del Comando Divino, fondata sull'impossibilità di dimostrare i suoi presupposti metafisici e religiosi, hanno tentato per molti secoli (anche se senza successo) di sminuirne l'importanza. Sostenevano che esso non presenta prove materiali e coerenza logica e, per questo motivo, non può essere preso in considerazione per scopi scientifici o filosofici. È solo una convinzione e, come tale, dovrebbe essere intesa. Oltre a queste opposizioni estreme, molti altri concetti contravvengono alle teorie del Comando Divino, in un modo o nell'altro, in parte o del tutto. Dalla filosofia greca classica fino ai giorni nostri, molti filosofi e scienziati sociali sostengono che la moralità è solo un costrutto e quindi culturalmente relativo e culturalmente determinato. Tuttavia, ciò apre la strada a molte altre discussioni e impone la sfida di determinare il significato della cultura, quali elementi della cultura siano moralmente determinanti e, infine, i confini di tale relatività. I deterministi morali affermano che tutto ciò che riguarda il comportamento umano, inclusa la moralità, è determinato una volta che il libero arbitrio non esiste. Più recentemente, i pensatori moderni hanno sostenuto che esiste una scienza rigorosa della moralità. Tuttavia, pur spiegando numerosi fatti e prove, il metodo scientifico da solo non può illuminare l’intero contenuto e il pieno significato dell’etica. La comprensione della morale richiede una percezione più ampia e un accordo tra i filosofi, cosa che essi non hanno mai raggiunto. Queste domande hanno molte configurazioni diverse a seconda di ciascun filone filosofico e danno origine ad analisi complesse e dibattiti infiniti finché molti di essi sono reciprocamente conflittuali. L'universo e l'atmosfera che coinvolgono questa ricerca sono i domini di tutti questi conflitti concettuali, osservati da un punto di vista oggettivo ed evolutivo. Indipendentemente da questa circostanza e dalla sua intrinseca importanza; tuttavia, queste domande sono lontane dall’approccio metodologico di una discussione analitica sulla morale oggettiva, che è, in effetti, lo scopo e la portata di questo lavoro. Dovremmo rivisitare brevemente queste importanti teorie tradizionali perché questo lavoro ospita uno studio comparativo e i suoi presupposti differiscono profondamente da tutte le teorie tradizionali. -/- Diventa quindi necessario offrire al lettore elementi di confronto diretti e specifici per una critica valida, dispensando ricerche interruttive. Tuttavia, anche rivisitando le teorie tradizionali, a questo scopo di esposizione comparativa e critica, esse verranno tenute ai margini delle nostre preoccupazioni primarie come “aliena materia”. Indipendentemente dalla validità di alcuni o tutti gli elementi di questa discussione e dal loro significato come universo filosofico della nostra ricerca, lo scopo di questo lavoro è dimostrare e giustificare l’esistenza e il significato degli archetipi morali preistorici sorti direttamente dal contesto sociale fondamentale e corrispondenti bisogni e sforzi per la sopravvivenza. Tali archetipi sono la definizione del fondamento essenziale dell'etica, la sua aggregazione all'inconscio collettivo e la corrispondente logica di organizzazione e trasmissione agli stadi evolutivi del genoma umano e dei diversi rapporti spazio-temporali, indipendentemente da qualsiasi esperienza contemporanea dei singoli individui. Il sistema definito da questi archetipi compone un modello sociale umano evolutivo. È questa una posizione meta etica? Sì. Inoltre, come in ogni ragionamento meta etico, bisognerebbe cercare attentamente i percorsi migliori e più coerenti, come offre la Filosofia Analitica. Pertanto, questo lavoro dovrebbe ragionevolmente dimostrare che la morale non è un prodotto culturale degli uomini civilizzati o delle società moderne. Pur essendo soggetto a molteplici aggregazioni e sottrazioni culturali, i suoi fondamenti essenziali sono archetipici e non sono mai strutturalmente mutati. Questo ragionamento induce che la moralità sia un primo attributo dell'“homo sapiens”; non è una proprietà né un accidente: integra l'essenza umana e appartiene all'identità ontologica umana. I fenomeni umani sono un processo continuo, che gioca il suo ruolo tra determinazione casuale e libero arbitrio, e dobbiamo chiederci come è iniziata la moralità e come è arrivata a noi nel presente. (shrink)

Cosmovisione è un termine che dovrebbe significare un insieme di fondamenti da cui emerge una comprensione sistemica dell'Universo, delle sue componenti come la vita, il mondo in cui viviamo, la natura, il fenomeno umano e le sue relazioni. Si tratta, quindi, di un campo della filosofia analitica alimentato dalle scienze, il cui obiettivo è questa conoscenza aggregata ed epistemologicamente sostenibile su tutto ciò che siamo e conteniamo, che ci circonda e che in qualche modo si relaziona con noi. È qualcosa (...) di antico quanto il pensiero umano e, oltre a utilizzare elementi di cosmologia scientifica, racchiude tutto ciò che nella filosofia e nella scienza si riferisce all'universo e alla vita. Una cosmovisione non è un insieme d’idee, ipotesi e presupposti, ma un sistema basato su osservazione, analisi, prove e dimostrazione. Nessuna cosmovisione intende definire, stabilire, proporre, ma solo comprendere, analizzare e interpretare. Ognuno di noi costruisce e porta avanti la propria cosmovisione per tutta la vita, senza stabilire forme, come sfondo per il proprio pensiero e comportamento. Linguisticamente il termine “cosmovisione” deriverebbe dal tedesco, equivalente al concetto di“Weltanschauung”, utilizzato da diversi filosofi. Tuttavia, questa relazione linguistica non è applicabile perché contraddice ciò che proponiamo come cosmovisione. Questa parola tedesca rimanda a una visione prelogica o proto-sperimentale della realtà, con un contesto intuitivo e lontana da una conoscenza critica che non esisteva ancora al momento della sua formulazione. Senza dubbio, le cosmovisioni, nel senso in cui le intendiamo, ospitano e utilizzano questi elementi proto-sperimentali o prelogici che includono la storia, l’inconscio collettivo e tutti gli archetipi che portiamo con noi. Tuttavia, nel concetto che qui applichiamo, la cosmovisione va ben oltre questo contenuto, dapprima sottoponendolo costantemente al pensiero critico attuale e, infine, facendo dell'esperienza analitica (e non del pensiero o dell'intuizione stessa) il suo universo reale. In questo lavoro, cerchiamo di delineare una cosmovisione basata sulle realtà che la scienza offre oggi. Non proponiamo, in nessun momento, di fare scienza; o teorizzare la filosofia, ma cercheremo sempre di essere supportati da loro o, almeno, protetti da loro dalle distorsioni cognitive che abitualmente ci portiamo dietro. (shrink)

CONTENTS: -/- SEZIONE I IL TUTTO E' UNO? IL RISVEGLIO DI UN PROBLEMA TRA SCOLASTICA E RINASCIMENTO Il principio omne causatum est compositum fra Tommaso e Cajetano Igor Agostini, p. 25 Parti e tutto in Montaigne. La natura e l'individuo tra frammentazione e integrazione Raffaele Carbone 45 Le minuzzarie e il tutto. Giordano bruno e la conoscenza universale Maurizio Cambi 75 -/- SEZIONE II A PARTIRE DA CARTESIO. COME PUO' ESSERE UN TUTTO L'UOMO? -/- Mente/Corpo in Cartesio. Spunti per un'interpretazione (...) mereologica Stefano Di Bella 93 Nos sumus ex Deo et pertinemus ad Deum. Appartenenza, dipendenza e relazione nel pensiero e nel lessico di Arnold Guelincx Cristina Santinelli 115 L'integrità di corpo e mente nell'"invenire" terapeutico di E. W. von Tschirnhaus Manuela Sanna 133 L'indivisibilità della natura umana e della società in Francesco Longano. Un episodio della ricezione di Locke in Italia Roberto Evangelista 147 -/- SEZIONE III L'IRROMPERE DELL'ORGANICO. LA BIOLOGIA FILOSOFICA TRA SEI E SETTECENTO -/- Convenienza e discrepanza. Parti e tutto nella Lettera 32 di Baruch Spinoza Francesco Toto 169 Mereologia della sostanza e mereologia del vivente in Leibniz Enrico Pasini 197 Teleologia e mereologia dell’organismo da Leibniz a Bonnet Francesco Piro 209 Il nesso delle parti: mereologia e scienza secondo Christian Wolff Matteo Favaretti Camposampiero 239 Il problema del tutto e delle parti. il caso del vitalismo di Montpellier Charles T. Wolfe 257 -/- SEZIONE 4 TOTALITA' CRITICHE: DALLA CRISI DEL NATURALISMO ILLUMINISTICO ALLA FILOSOFIA DELLE CULTURE -/- La logica del tutto (e delle parti di tutto, vale a dire niente) in Dom Deschamps Jean-Claude Bourdin 273 l’(in)afferabile forma. Totalità e contingenza nel pensiero di Kant tra Critica della ragion pura e Critica del giudizio Luigi Imperato 303 la relazione Parte-Tutto nel primo Schelling Giuseppe D’Anna 327 Hegel o della totalizzazione dello spazio di interiorità Vittorio Morfino 343 A partire da Kant: Begriffsbiìldung teleologica e relazione Parti-Tutto nelle indagini di Rickert sulla logica delle scienze storiche della cultura Edoardo Massimilla 359 . (shrink)

After noting the absence of a mutual confrontation, the aim of this research has been redefined in reconstructing the influence of Habermas’ writings on the work of Zygmunt Bauman – an aspect known to scholars of the Polish sociologist but not very well recognized in the international sociological community. Following a philological and critical literary approach, the Baumanian interpretations – selective, discontinuous and, often, erroneous – have been systematized into two main topics: 1) the epistemological foundations of social theory; 2) (...) the normative foundations of critical theory (and the relationship with praxis). Bauman; Habermas; sociology; (post)modernity; praxis Dopo aver constatato l’inesistenza di un reciproco confronto, lo scopo della ricerca si è ridefinito nel ricostruire l’influenza degli scritti di Habermas sull’opera di Zygmunt Bauman – un aspetto noto agli studiosi del sociologo polacco ma poco conosciuto nella comunità socio-logica internazionale. Seguendo un approccio filologico e critico letterario, le interpretazioni baumaniane – selettive, discontinue e, spesso, erronee – sono state sistematizzate in due principali temi: 1) i fonda-menti conoscitivi della teoria sociale; 2) i fondamenti normativi della teoria critica (e il rapporto con la prassi). -/- Parole chiave: Bauman; Habermas; sociologia; (post)modernità; prassi -/- In "Zygmunt Bauman. I cancelli dell’acqua", a cura di Riccardo Mazzeo. Maria Caterina Federici, Editoriale. Bauman e dell’incertezza Riccardo Mazzeo, Premessa. I cancelli dell’acqua Riccardo Mazzeo, Introduzione. Il pendolo di Zygmunt Bauman - Mauro Magatti, Siamo ancora nella modernità liquida? Un esercizio di sociologia baumaniana - Benedetto Vecchi, La missione impossibile di Zygmunt Bauman - Vanni Codeluppi, Bauman: il consumo come compito - Raffaele Federici, Forme e impressionismo nel disagio della postmodernità - Vincenzo Romania, Zygmunt Bauman e la modernità dell’Olocausto: fra crucialità delle domande e debolezza delle risposte - Daniele Francesconi, Zygmunt Bauman. L’intellettuale sulla scena - Claudio Tugnoli, La morte di "terzo grado" come stile di vita. Esorcismi della paura nell’opera di Zygmunt Bauman - Sabina Curti, Paura liquida e ruolo degli intellettuali in Zygmunt Bauman - Luca Corchia, Bauman e Habermas su teoria e prassi. Alle origini di un confronto incompiuto - Marta Carlini, Jakub Pichalski, Bibliografia ragionata degli scritti italiani di e su Zygmunt Bauman - Federico Batini, Giulia Toti, Una scuola per tutti? Riflessioni a margine di "Conversazioni sull’educazione" Recensioni. (shrink)

Roberto Cordeschi, La scoperta dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine intorno alla cibernetica, Milano, Masson–Dunod, 1998, pp. 320; Domenico Parisi, Mente: I nuovi modelli della Vita Artificiale, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 200.

Il problema apparentemente insolubile di una giustificazione non circolare dell’induzione diverrebbe più abbordabile se invece di chiederci solo cosa ci assicura che un fenomeno osservato si riprodurrà in modo uguale in un numero potenzialmente infinito di casi futuri, ci chiedessimo anche come si spiega che esso si sia manifestato fin qui in modo identico e senza eccezioni in un numero di casi finito ma assai alto. E’ questa l’idea della giustificazione abduttiva dell’induzione, avanzata in forme diverse da Armstrong, Foster e (...) BonJour: serie talmente regolari di fenomeni sono da un punto di vista logico talmente improbabili che se il mondo fosse puramente casuale (se cioè gli eventi si presentassero con frequenza proporzionale alla loro probabilità logica) esse non potrebbero verificarsi se non per una coincidenza miracolosa. Pertanto, tali regolarità si spiegano solo assumendo che siano prodotte da meccanismi o necessità nomiche; ma se questo è il caso, è corretto concludere che tali regolarità persisteranno anche in futuro senza eccezioni, e dunque le inferenze induttive su di esse sono giustificate. Anche Kornblith argomenta dall’effettivo successo delle inferenze induttive all’esistenza di regolarità oggettive in natura; mentre Sankey parte dall’ uniformità della natura per giustificare l’induzione. Congiungendo le due argomentazioni, dunque, si ottiene di nuovo una giustificazione dell’induzione in base all’argomento del “se non è un miracolo …”. Un ostacolo su questa via è specificare in che senso la natura sia uniforme (dato che ovviamente non lo è in ogni suo aspetto) e di quali regolarità possiamo aspettarci che persistano senza eccezione anche in futuro (dato che evidentemente non tutte lo fanno: l’acqua non bolle sempre a 100°, la pressione non è sempre funzione della temperatura, e così via). Entrano qui in gioco le conoscenze di sfondo e la ripetizione delle osservazioni in condizioni diverse, che ci mostrano quali circostanze siano rilevanti al verificarsi del fenomeno dato. In tal modo, le nostre descrizioni delle regolarità naturali convergono su descrizioni che specificano sia le condizioni individualmente necessarie e congiuntamente sufficienti, sia tutti gli argomenti delle funzioni che costituiscono tali regolarità. Ciò consente di formulare i principi di Uniformità della Natura e di Induzione in modo non generico (e dunque, a seconda della formulazione, vuoto o eccessivo), ma circostanziato: così essi asseriscono, rispettivamente, che la natura è uniforme negli aspetti evidenziati dalle descrizioni su cui convergiamo grazie alle osservazioni ripetute, e che solo queste descrizioni possono essere induttivamente generalizzate. Ciò consente anche di risolvere enigmi alla Goodman, quali: poiché le osservazioni ci hanno mostrato (solo) il verificarsi di una data regolarità fino al momento presente t, come possiamo presumere che essa si verificherà anche dopo t? La risposta è che osservazioni e conoscenza di sfondo non ci dicono che vi sia alcun limite temporale tra le condizioni necessarie della regolarità data. (shrink)

Horwich dà una bella analisi di Wittgenstein (W) ed è uno studioso W leader, ma a mio parere, tutti non sono al di sotto di un pieno apprezzamento, come spiego a lungo in questa recensione e molti altri. Se non si capisce W (e preferibilmente anche Searle) allora non vedo come si possa avere più di una comprensione superficiale della filosofia e del pensiero di ordine superiore e quindi di tutti i comportamenti complessi (psicologia, sociologia, antropologia, storia, letteratura, società). In (...) poche parole, W ha dimostrato che quando hai dimostrato come una frase viene usata nel contesto di interesse, non c'è più nulla da dire. Inizierò con alcune citazioni degne di nota e poi darò quelle che penso siano le considerazioni minime necessarie per capire Wittgenstein, la filosofia e il comportamento umano. La prima si potrebbe notare che mettere "meta" davanti a qualsiasi parola dovrebbe essere sospetto. W ha osservato ad esempio, che la metamatematica è matematica come qualsiasi altra. L'idea che possiamo uscire dalla filosofia (cioè la psicologia descrittiva del pensiero di ordine superiore) è di per sé una profonda confusione. Un'altra irritazione qui (e per tutta la scrittura accademica negli ultimi 4 decenni) è il costante sessismo linguistico inverso di "lei" e "suo" e "lei" o "lui/ lei" ecc., dove "loro" e "loro" e "loro" farebbero bene. Allo stessomodo, l'uso della parola francese "repertorio" in cui l'inglese "repertorio" farà abbastanza bene. La carenza principale è il fallimento completo (anche se molto comune) di impiegare quello che vedo come la vista di due sistemi estremamente potente e intuitiva del quadro di HOT e Searle che ho delineato sopra. Questo è particolarmente toccante nel capitolo sul significato p111 et seq. (soprattutto nelle note a piè di pagina 2-7), dove nuotiamo in acqua molto fangosa senza la struttura di vero automatizzato solo S1, proposizionale disposizionale S2, COS ecc. Si può anche ottenere una migliore vista dell'interno e dell'esterno leggendo ad esempio, Johnston o Budd (vedi le mie recensioni). Horwich però fa molti commenti incisivi. Mi è piaciuto soprattutto il suo riassunto dell'importazione della posizione anti-teorica di W su p65. Ha bisogno di dare più enfasi a 'On Certainty', recentemente oggetto di grande sforzo di Daniele Moyal- Sharrock, Coliva e altri e riassunto nei miei recenti articoli. Horwich è di prim'ordine e il suo lavoro vale la pena. Si spera che lui (e tutti) studierà Searle e un po 'di psicologia moderna così come Hutto, Read, Hutchinson, Stern, Moyal-Sharrock, Stroll, Hacker e Baker ecc per raggiungere una vasta visione moderna del comportamento. La maggior parte dei loro documenti sono su academia dot edu e philpapers dot org etc. Egli dà uno dei più bei riassunti di dove una comprensione di Wittgenstein ci lascia che io abbia mai visto. "Non ci deve essere alcun tentativo di spiegare la nostra attività linguistico/concettuale (PI 126) come nella riduzione dell'aritmetica di Frege alla logica; nessun tentativo di dargli basi epistemologiche (PI 124) come nei resoconti basati sul significato di una conoscenza a priori; nessun tentativo di caratterizzarne le forme idealizzate (PI 130) come nelle logiche del senso; nessun tentativo di riformarlo (PI 124, 132) come nella teoria degli errori di Mackie o nell'intuizione di Dummett; nessun tentativo di snellirla (PI 133) come nel racconto dell'esistenza di Quine; nessun tentativo di renderlo più coerente (PI 132) come nella risposta di Tarski ai paradossi bugiar; e nessun tentativo di renderlo più completo (PI 133) come nel sistemare le questioni di identità personale per bizzarri scenari ipotetici di 'teletrasporto'." Infine, lasciatemi suggerire che con la prospettiva che ho incoraggiato qui, W è al centro della filosofia contemporanea e della psicologia e non è oscura, difficile o irrilevante, ma scintillante, profonda e cristallina e che permane lo è mancare una delle più grandi avventure intellettualipossibili. Coloro che desiderano un quadro aggiornato completo per il comportamento umano dalla moderna vista a due systems possono consultare il mio libro 'La struttura logica dellafilosofia, psicologia, Mind e il linguaggio in Ludwig Wittgenstein e John Searle' 2nd ed (2019). Coloro che sono interessati a più dei miei scritti possono vedere 'TalkingMonkeys--Filosofia, Psicologia, Scienza, Religione e Politica su un Pianeta Condannato--Articoli e Recensioni 2006-2019 3rd ed (2019) e Suicidal Utopian Delusions nel 21st Century 4th ed (2019) . (shrink)

In this essay we will argue for the following theses: 1- know-how is not a form of practical knowledge devoid of propositional sense; 2- the relationship between each perception and the body itself is metaphysically contingent (organisms and bodies can vary, as can even the spaces they occupy in the same experience vary), 3- it is up to the brain to configure or to shape a physical body (Körper) into a living body (Leib) and not the other way around; 4- (...) phenomenal externalism of enactivist nature, even in its mild form, is empirically implausible: the correlation between the conscious character of sensory experience with spatiotemporal neuronal patterns is much more systematic and regular than with anything outside the brain. But in its radical form is entirely implausible and contra-intuitive: phenomenal duplicates are not necessarily duplicates of agency; in short, 5-we are our own brain that has a body, avatars, and artifacts, properly configured, and molded by the brain, and not a body that has a brain among other essential organs. (shrink)

There are two main ways in which the notion of mereological fusion is usually defined in the current literature in mereology which have been labelled ‘Leśniewski fusion’ and ‘Goodman fusion’. It is well-known that, with Minimal Mereology as the background theory, every Leśniewski fusion also qualifies as a Goodman fusion. However, the converse does not hold unless stronger mereological principles are assumed. In this paper I will discuss how the gap between the two notions can be filled, focussing in particular (...) on two specific sets of principles that appear to be of particular philosophical interest. The first way to make the two notions equivalent can be used to shed some interesting light on the kind of intuition both notions seem to articulate. The second shows the importance of a little-known mereological principle which I will call ‘Mild Supplementation’. As I will show, the mereology obtained by adding Mild Supplementation to Minimal Mereology occupies an interesting position in the landscape of theories that are stronger than Minimal Mereology but weaker than what Achille Varzi and Roberto Casati have labelled ‘Extensional Mereology’. (shrink)

I present a ‘stage-theoretical’ interpretation of the supervaluationist semantics for the growing-block theory of time according to which the ‘nodes’ on the branching tree of historical possibilities are taken to be possible stages of the growth of the growing-block. As I will argue, the resulting interpretation (i) is very intuitive, (ii) can easily ward off an objection to supervaluationist treatments of the growing-block theory presented by Fabrice Correia and Sven Rosenkranz, and (iii) is also not saddled by the problems affecting (...) the supervaluationist version of the growing-block theory defended by R. A. Briggs and Graeme A. Forbes. (shrink)

A wide family of many-valued logics—for instance, those based on the weak Kleene algebra—includes a non-classical truth-value that is ‘contaminating’ in the sense that whenever the value is assigned to a formula φ⁠, any complex formula in which φ appears is assigned that value as well. In such systems, the contaminating value enjoys a wide range of interpretations, suggesting scenarios in which more than one of these interpretations are called for. This calls for an evaluation of systems with multiple contaminating (...) values. In this paper, we consider the countably infinite family of multiple-conclusion consequence relations in which classical logic is enriched with one or more contaminating values whose behavior is determined by a linear ordering between them. We consider some motivations and applications for such systems and provide general characterizations for all consequence relations in this family. Finally, we provide sequent calculi for a pair of four-valued logics including two linearly ordered contaminating values before defining two-sided sequent calculi corresponding to each of the infinite family of many-valued logics studied in this paper. (shrink)

What is the relation between parts taken together and the whole that they compose? The recent literature appears to be dominated by two different answers to this question, which are normally thought of as being incompatible. According to the first, parts taken together are identical to the whole that they compose. According to the second, the whole is grounded in its parts. The aim of this paper is to make some theoretical room for the view according to which parts ground (...) the whole they compose while being, at the same time, identical to it. (shrink)

This paper presents a semantical analysis of the Weak Kleene Logics Kw3 and PWK from the tradition of Bochvar and Halldén. These are three-valued logics in which a formula takes the third value if at least one of its components does. The paper establishes two main results: a characterisation result for the relation of logical con- sequence in PWK – that is, we individuate necessary and sufficient conditions for a set.

The aim of this study is to address the “Grounding Grounding Problem,” that is, the question as to what, if anything, grounds facts about grounding. I aim to show that, if a seemingly plausible principle of modal recombination between fundamental facts and the principle customarily called “Entailment” are assumed, it is possible to prove not only that grounding facts featuring fundamental, contingent grounds are derivative but also that either they are partially grounded in the grounds they feature or they are (...) “abysses”. (shrink)

In this paper I will present three arguments (based on the notions of constitution, metaphysical reality, and truth, respectively) with the aim of shedding some new light on the structure of Fine’s (2005, 2006) ‘McTaggartian’ arguments against the reality of tense. Along the way, I will also (i) draw a novel map of the main realist positions about tense, (ii) unearth a previously unnoticed but potentially interesting form of external relativism (which I will label ‘hyper-presentism’) and (iii) sketch a novel (...) interpretation of Fine’s fragmentalism (which I contrast with Lipman’s 2015, 2016b, forthcoming). (shrink)

This paper discusses three relevant logics that obey Component Homogeneity - a principle that Goddard and Routley introduce in their project of a logic of significance. The paper establishes two main results. First, it establishes a general characterization result for two families of logic that obey Component Homogeneity - that is, we provide a set of necessary and sufficient conditions for their consequence relations. From this, we derive characterization results for S*fde, dS*fde, crossS*fde. Second, the paper establishes complete sequent calculi (...) for S*fde, dS*fde, crossS*fde. Among the other accomplishments of the paper, we generalize the semantics from Bochvar, Hallden, Deutsch and Daniels, we provide a general recipe to define containment logics, we explore the single-premise/single-conclusion fragment of S*fde, dS*fde, crossS*fdeand the connections between crossS*fde and the logic Eq of equality by Epstein. Also, we present S*fde as a relevant logic of meaninglessness that follows the main philosophical tenets of Goddard and Routley, and we briefly examine three further systems that are closely related to our main logics. Finally, we discuss Routley's criticism to containment logic in light of our results, and overview some open issues. (shrink)

What are the relationships between an entity and the space at which it is located? And between a region of space and the events that take place there? What is the metaphysical structure of localization? What its modal status? This paper addresses some of these questions in an attempt to work out at least the main coordinates of the logical structure of localization. Our task is mostly taxonomic. But we also highlight some of the underlying structural features and we single (...) out the interactions between the notion of localization and nearby notions, such as the notions of part and whole, or of necessity and possibility. A theory of localization—we argue—is needed in order to account for the basic relations between objects and space, and runs afoul a pure part-whole theory. We also provide an axiomatization of the relation of localization and examine cases of localization involving entities different from material objects. (shrink)

The purpose of this article is to offer a new view of the key relation between the content and the conscious character of visual experience. The author aims to support the following claims. First, the author rejects the qualia realist claim that conscious character is an intrinsic, nonrepresentational property of visual experience, for example, a pattern of activation of neurons. However, the author also rejects the rival widespread representationalist claim that the conscious character of visual experience is identical to, or (...) supervenes on, any specific property represented by visual experience. The positive proposal is the following. Conscious character is identical to those patterns of activation of neurons that are referentially or representationally alive. Conscious redness, for example, is a pattern of activations of neurons that is normally created only when brains of physical duplicates come in visual contact with some distal property. This pattern of activation is recruited by natural selection to represent that property. This is called meaning representationalism. (shrink)

ABSTRACT The philosophical tradition approaches to morals have their grounds predominantly on metaphysical and theological concepts and theories. Among the traditional ethics concepts, the most prominent is the Divine Command Theory (DCT). As per the DCT, God gives moral foundations to the humankind by its creation and through Revelation. Morality and Divinity are inseparable since the most remote civilization. These concepts submerge in a theological framework and are largely accepted by most followers of the three Abrahamic traditions: Judaism, Christianity, and (...) Islam: the greatest part of the human population. Holding faith and Revelation for its grounds, the Divine Command Theories are not strictly subject to the demonstration. The opponents to the Divine Command conception of morals, grounded in the impossibility of demonstration of its metaphysical and religious assumptions, have tried for many centuries (albeit unsuccessfully) to devalue its importance. They held the argument that it does not show material evidence and logical coherence and, for this reason, cannot be taken into account for scientific nor philosophical purposes. It is just a belief and, as so, should be understood. Besides these extreme oppositions, many other concepts contravene the Divine Command theories, in one or another way, in part or in full. Many philosophers and social scientists, from the classic Greek philosophy up to the present date, for instance, sustain that morality is only a construct, and thus culturally relative and culturally determined. However, this brings many other discussions and imposes the challenge to determine what is the meaning of culture, which elements of culture are morally determinant, and finally, what are the boundaries of such relativity. Moral determinists claim that everything related to human behavior, including morality, is determined, once free will does not exist. More recently, modern thinkers argued that there is a strict science of morality. However, the scientific method alone, despite explaining several facts and evidence, cannot enlighten the entire content and full meaning of ethics. Morals’ understanding requires a broader perception, and an agreement among philosophers, which they have never achieved. All of these questions have many different configurations depending on each philosophical strand, and start complex analysis and endless debates, as long as many of them are reciprocally conflictive. The universe and the atmosphere involving this thesis are the dominions of all these conceptual conflicts, observed from an objective and evolutionary standpoint. Irrespective of this circumstance and its intrinsic importance, however, these questions are far distant from the methodological approach of an analytical discussion on objective morals, what is, indeed, the aim and scope of this work. We should briefly revisit these prominent traditional theories because this thesis shelters a comparative study, and its assumptions at least differ profoundly from all traditional theories. Therefore, it becomes necessary offering direct and specific elements of comparison to the reader, for the right criticism, dispensing interruptive researches. However, even revisiting the traditional theories, for this comparative and critical exposure purpose, they will be kept by the side of our main concerns, as “aliena materia.” Irrespective of the validity of any or all of the elements of this discussion, and their meaning as the philosophical universe of this thesis, the purpose of this work is demonstrating and justifying the existence and meaning of prehistoric moral archetypes arisen directly from the very first social needs and efforts for survival. These archetypes are the definition of the essential foundation of ethics, its aggregation to the collective unconscious and corresponding logic organization and transmission to evolutionary stages of the human genome and different relations space-time, irrespective of any contemporary experience of the individuals. The system defined by these archetypes composes an evolutionary human social model. Is this a metaethical position? Yes, it is. Moreover, as in any metaethical reasoning, we should look carefully for the best and coherent routes, as the Analytical Philosophy offers them. Thus, this work should reasonably demonstrate that morals are not a cultural product of the civilized men or modern societies and that despite being subject to several cultural relative aggregations and subtractions, its essential foundations are archetypal and have never structurally changed. This reasoning induces that morality is an original attribute of the “homo sapiens”; it is not a property and nor an accident: it integrates the human essence and belongs to the realm of the ontological human identity. The human phenomena is a continuing process, playing its role between random determination and free will, and we need to question how morality began and how did it come to us in the present. (shrink)

We set forth what one may call a “constitutional reading” in opposition to the traditional widespread “constructivist reading” of the object of cognition. In the light of the so-called one-object view reading of Transcendental idealism, the object of cognition is nothing but the object that exists in itself insofar as it appears to our cognitive apparatus. The object exists mind-independently, while our cognition of the same object must be mind-independent. The constructivist reading mistakes the epistemological problem of how we come (...) to cognize mind-dependently that what we represent (“the constitutional view”) are mind-independent objects with the Berkelian ontological problem of how we construct objects out of an undifferentiated, unstructured manifold (the constructivist view) My diagnosis is as follows. The first reason is the traditional “two-worlds view” reading of Kant’s idealism. If we take what exists in itself and the object of cognition as distinct things, then we must conclude that the object of cognition is a mind-dependent construction. Constructivist readers mistake the mind-dependent nature of our human cognition of objects for the putative mind-dependent nature of the known object. The second reason is overintellectualization. Constructivist readers mistake the objectifying syntheses of the imagination, below the threshold of self-consciousness, for cognitive conceptual operations by means of which we cognize (erkennen) the objects of cognition, or so I shall argue. (shrink)

Grounding contingentism is the doctrine according to which grounds are not guaranteed to necessitate what they ground. In this paper I will argue that the most plausible version of contingentism is incompatible with the idea that the grounding relation is transitive, unless either ‘priority monism’ or ‘contrastivism’ are assumed.

According to Composition is Identity, a whole is literally identical to the plurality of its parts. According to Mereological Nihilism, nothing has proper parts. In this note, it is argued that Composition is Identity can be shown to entail Mereological Nihilism in a much more simple and direct way than the one recently proposed by Claudio Calosi.

In this paper, I propose a new nonconceptual reading of the B-Deduction. As Hanna correctly remarks :399–415, 2011: 405), the word “cognition” has in both editions of the first Critique a wide sense, meaning nonconceptual cognition, and a narrow meaning, in Kant’s own words “an objective perception”. To be sure, Kant assumes the first meaning to account for why the Deduction is unavoidable. And if we take this meaning as a premise of the B-Deduction, then there is a gap in (...) the argument since the categories are certainly not conditions for non-conceptual cognition. Still, I believe it is not this wide meaning but rather the narrow one that figures in any premise of the B-Deduction. Thus, in the reading that I am proposing, categories are not conditions for representing something, or even conditions for representing something objectively. Instead, they are conditions for the recognition that what we represent through the senses exists mind-independently. In the first step of the B-Deduction, this cognition in the narrow sense takes the form of the propositional thinking that the nonconceptually represented object of the sensible intuition exists objectively. In contrast, in the second step of the B-Deduction, this cognition in the narrow sense takes the form of the apprehension of what our human senses represent nonconceptually as existing objectively. (shrink)

Fine (2005, 2006) has presented a ‘trilemma’ concerning the tense-realist idea that reality is constituted by tensed facts. According to Fine, there are only three ways out of the trilemma, consisting in what he takes to be the three main families of tense-realism: ‘presentism’, ‘(external) relativism’, and ‘fragmentalism’. Importantly, although Fine characterises tense-realism as the thesis that reality is constituted (at least in part) by tensed facts, he explicitly claims that tense realists are not committed to their fundamental existence. Recently, (...) Correia and Rosenkranz (2011, 2012) have claimed that Fine’s tripartite map of tense realism is incomplete as it misses a fourth position they call ‘dynamic absolutism’. In this paper, I will argue that dynamic absolutists are committed to the irreducible existence of tensed facts and that, for this reason, they face a similar trilemma concerning the notion of fact-content. I will thus conclude that a generalised version of Fine’s trilemma, concerning both fact-constitution and fact-content, is indeed inescapable. (shrink)

According to ‘Strong Composition as Identity’, if an entity is composed of a plurality of entities, it is identical to them. As it has been argued in the literature, SCAI appears to give rise to some serious problems which seem to suggest that SCAI-theorists should take their plural quantifier to be governed by some ‘weak’ plural comprehension principle and, thus, ‘exclude’ some kinds of pluralities from their plural ontology. The aim of this paper is to argue that, contrary to what (...) may appear at first sight, the assumption of a weak plural comprehension principle is perfectly compatible with plural logic and the common uses of plural quantification. As I aim to show, SCAI-theorists can simply claim that their theory must be understood as formulated by means of the most ‘joint-carving’ plural quantifier, thus leaving open the possibility of other, less joint-carving, ‘unrestricted’ plural quantifiers. In the final part of the paper I will also suggest that SCAI-theorists should not only allow for singular quantification over pluralities of entities, but also for plural quantification over ‘super-pluralities’ of entities. (shrink)

ABSTRACTThe ability of providing an adequate supervenience base for tensed truths may seem to be one of the main theoretical advantages of both the growing-block and the moving-spotlight theory of time over presentism. However, in this paper I will argue that some propositions appear to be as problematic for growing-block theorists as past-directed propositions are for presentists, namely propositions stating that nothing will be the case in the future. Furthermore, I will show that the moving-spotlight theory can adequately address all (...) the main supervenience challenges that can be levelled against A-theories of time. I will, thus, conclude that, at least as far as the supervenience principle is concerned, the moving-spotlight theory should be preferred over both presentism and the growing-block theory. (shrink)

Ordinary reasoning about space—we argue—is first and foremost reasoning about things or events located in space. Accordingly, any theory concerned with the construction of a general model of our spatial competence must be grounded on a general account of the sort of entities that may enter into the scope of the theory. Moreover, on the methodological side the emphasis on spatial entities (as opposed to purely geometrical items such as points or regions) calls for a reexamination of the conceptual categories (...) required for this task. Building on material presented in an earlier paper, in this work we offer some examples of what this amounts to, of the difficulties involved, and of the main directions along which spatial theories should be developed so as to combine formal sophistication with some affinity with common sense. (shrink)

The possibility of changing the past by means of time-travel appears to depend on the possibility of distinguishing the past as it is ‘before’ and ‘after’ the time-travel. So far, all the metaphysical models that have been proposed to account for the possibility of past-changing time-travels operate this distinction by conceiving of time as multi-dimensional, and thus by significantly inflating our metaphysics of time. The aim of this article is to argue that there is an intuitive sense in which past-changing (...) time-travels are metaphysically possible also in one-dimensional time. (shrink)

In this paper I address two important objections to the theory called ‘ Composition as Identity’ : the ‘wall-bricks-and-atoms problem’, and the claim that CAI entails mereological nihilism. I aim to argue that the best version of CAI capable of addressing both problems is the theory I will call ‘Atomic Composition as Identity’ which consists in taking the plural quantifier to range only over proper pluralities of mereological atoms and every non-atomic entity to be identical to the plurality of atoms (...) it fuses. I will proceed in three main steps. First, I will defend Sider’s Composition as identity. Oxford University Press, Oxford, pp 211–221, 2014) idea of weakening the comprehension principle for pluralities and I will show that :219–235, 2016a) it can ward off both the WaBrA problem and the threat of mereological nihilism. Second, I will argue that CAI-theorists should uphold an ‘atomic comprehension principle’ which, jointly with CAI, entails that there are only proper pluralities of mereological atoms. Finally, I will present a novel reading of the ‘one of’ relation that not only avoids the problems presented by Yi Composition as identity. Oxford University Press, Oxford, pp 169–191, 2014) and Calosi :429–443, 2016b, Am Philos Q 55:281–292, 2018) but can also help ACAI-theorists to make sense of the idea that a composite entity is both one and many. (shrink)

The book is divided into three parts. The first, containing three papers, focuses on the characterization of the central tenets of previii sentism (by Neil McKinnon) and eternalism (by Samuel Baron and Kristie Miller), and on the ‘sceptical stance’ (by Ulrich Meyer), a view to the effect that there is no substantial difference between presentism and eternalism. The second and main section of the book contains three pairs of papers that bring the main problems with presentism to the fore and (...) outlines its defence strategy. Each pair of papers in this section can be read as a discussion between presentists and eternalists, wherein each directly responds to the arguments and objections offered by the other. This is a discussion that is sometimes absent in the literature, or which is at best carried out in a fragmented way. The first two papers of the section deal with the problem of the compatibility of Special Relativity Theory (SRT) and presentism. SRT is often considered to be a theory that contradicts the main tenet of presentism, thereby rendering presentism at odds with one of our most solid scientific theories. Christian Wüthrich’s paper presents arguments for the incompatibility of the two theories (SRT and presentism) within a new framework that includes a discussion of further complications arising from the theory of Qauantum Mechanics. Jonathan Lowe’s paper, by contrast, develops new general arguments against the incompatibility thesis and replies to Wüthrich’s paper. The second pair of papers focuses on the problem that presentists face, in providing grounds for past tensed truths. In the first (by Matthew Davidson), new arguments are provided to defend the idea that the presentist cannot adequately explain how what is now true about the past is grounded, since for the presentist the past is completely devoid of ontological ground. The second paper (by Brian Kierland) takes up the challenge of developing a presentist explanation of past truths, beginning by outlining some existing views in the literature before advancing an original proposal. (shrink)

In this article I examine the main conceptions of public reason in contemporary political philosophy in order to set the frame for appreciating the novelty of the pragmatist understanding of public reason as based upon the notion of consequences and upon a theory of rationality as inquiry. The approach is inspired by Dewey but is free from any concern with history of philosophy. The aim is to propose a different understanding of the nature of public reason aimed at overcoming the (...) limitations of the existing approaches. Public reason is presented as the proper basis for discussing contested issues in the broad frame of deep democracy. (shrink)

In a recent piece, Jon Bebb (2023) has argued that we have no reason to believe, contrary to what is often assumed, that ‘normal’ is ambiguous between a statistical and a normative sense. I argue that his case rests on two false premisses, and that we have very good reasons to believe that ‘normal’ is, in fact, ambiguous in this way. As part of my argument, I will go on to suggest that if ‘normal’ is ambiguous between a statistical and (...) a normative sense, that is because of the deep but seldom recognised connection between regularities and rules. This suggestion, if correct, will in turn help us elucidate three familiar thoughts about normality. (shrink)

In its simplest form, a Spritz is an aperitif made with (sparkling) water and (white) wine. A ‘gunky Spritz’, as I will call it, is a Spritz in which the water and the wine are mixed through and through, so that every proper part of the Spritz has a proper part containing both water and wine. In the literature on the notion of location the possibility of mixtures like a gunky Spritz has been thought of as either threatening seemingly intuitive (...) locative principles, or as requiring the position of multiple primitive locative relations. In this paper I present a new theory of location which assumes as primitive only the notion of pervasive location and show that it can account for the possibility of gunky Spritz in an intuitive and adequate way. (shrink)

In a series of ten articles from leading American and European scholars, Pragmatist Epistemologies explores the central themes of epistemology in the pragmatist tradition through a synthesis of new and old pragmatist thought, engaging contemporary issues while exploring from a historical perspective. It opens a new avenue of research in contemporary pragmatism continuous with the main figures of pragmatist tradition and incorporating contemporary trends in philosophy. Students and scholars of American philosophy will find this book indispensable.

Não é pensando que criamos mundos. É compreendendo o mundo que aprendemos a pensar. Cosmovisão é um termo que deve significar um conjunto de fundamentos dos quais emerge uma compreensão sistêmica do Universo, seus componentes como a vida, o mundo em que vivemos, a natureza, o fenômeno humano e suas relações. Trata-se, portanto, de um campo da filosofia analítica alimentado pelas ciências, cujo objetivo é esse conhecimento agregado e epistemologicamente sustentável sobre tudo o que somos e contemos, que nos cerca (...) e que nos relaciona de alguma forma. É algo tão antigo quanto o pensamento humano e, além de utilizar elementos da cosmologia científica, engloba tudo na filosofia e na ciência que se refere ao universo e à vida. Uma cosmovisão não é um conjunto de ideias, hipóteses e suposições, mas um sistema baseado em observação, análise, evidência e demonstração. Nenhuma cosmovisão pretende definir, estabelecer, propor, mas apenas compreender, analisar e interpretar. Cada um de nós constrói e transporta sua cosmovisão ao longo da vida, sem estabelecer formas, como pano de fundo para nosso pensamento e comportamento. Linguisticamente, o termo “cosmovisão” derivaria do alemão, equivalente ao conceito de “ Weltanschauung”, usado por vários filósofos. No entanto, essa relação linguística não é aplicável porque contraria o que propomos como cosmovisão. Esta palavra alemã refere-se a uma visão pré-lógica ou proto-experimental da realidade, com um contexto intuitivo e longe de um conhecimento crítico ainda inexistente no momento da sua formulação. Sem dúvida, as cosmovisões , no sentido em que as entendemos, abrigam e utilizam esses elementos protoexperimentais ou pré-lógicos que incluem a história, o inconsciente coletivo e todos os arquétipos que carregamos. No entanto, no conceito que aqui aplicamos, a cosmovisão vai muito além desse conteúdo, primeiro por submetê-lo constantemente ao pensamento crítico presente e, finalmente, por tornar a experiência analítica (e não o próprio pensamento ou intuição) seu universo real. António Lopes expõe a amplitude deste conteúdo: -/- “Cosmovisões não são o produto do pensamento. Não nascem do simples desejo de saber. A apreensão da realidade é um momento importante em sua configuração, mas, no entanto, é apenas um. Vem da conduta vital, da experiência da vida, da estrutura de nossa totalidade psíquica. A elevação da vida à consciência no conhecimento da realidade, na valorização da vida e na realidade volitiva é o trabalho lento e árduo que a humanidade tem feito no desenvolvimento das concepções de vida. (W. Dilthey, 1992 [1911]: 120)” Neste trabalho, buscamos traçar uma cosmovisão baseada nas realidades que a ciência oferece hoje. Não nos propomos, em nenhum momento, a fazer ciência ou teorizar a filosofia, mas sempre buscaremos ser apoiados por elas ou, pelo menos, protegidos por elas das distorções cognitivas que costumamos carregar. (shrink)

Considering topology as an extension of mereology, this paper analyses topological variants of mereological essentialism (the thesis that an object could not have different parts than the ones it has). In particular, we examine de dicto and de re versions of two theses: (i) that an object cannot change its external connections (e.g., adjacent objects cannot be separated), and (ii) that an object cannot change its topological genus (e.g., a doughnut cannot turn into a sphere). Stronger forms of structural essentialism, (...) such as morphological essentialism (an object cannot change shape) and locative essentialism (an object cannot change position) are also examined. (shrink)

Richard Bernstein is among the pragmatist philosophers that have most significantly contributed to the advancement of a philosophical conversation between the American and the European traditions. His work has greatly helped the task of dismantling the boundaries that in the last decades had been erected between philosophical traditions. It is therefore with the greatest pleasure that The European Journal of Pragmatism and American Philosophy inaugurates his series of monographs with Bernstei...

The supervaluationist approach to branching time (‘SBT-theory’) appears to be threatened by the puzzle of retrospective determinacy: if yesterday I uttered the sentence ‘It will be sunny tomorrow’ and only in some worlds overlapping at the context of utterance it is sunny the next day, my utterance is to be assessed as neither true nor false even if today is indeed a sunny day. John MacFarlane (“Truth in the Garden of Forking Paths” 81) has recently criticized a promising solution to (...) this puzzle for falling short of an adequate account of ‘actually’. In this paper, I aim to rebut MacFarlane's criticism. To this effect, I argue that: (i) ‘actually’ can be construed either as an indexical or as a nonindexical operator; (ii) if ‘actually’ is nonindexical, MacFarlane's criticism is invalid; (iii) there appear to be independent reasons for SBT-theorists to claim that ‘actually’ is a nonindexical expression. (shrink)

I argue that the growing-block theory of time and truthmaker maximalism jointly entail that some truthmakers undergo mereological change as time passes. Central to my argument is a grounding-based account of what I call the “purely incremental” nature of the growing-block theory of time. As I will show, the argument presented in this paper suggests that growing-block theorists endorsing truthmaker maximalism have reasons to take composition to be restricted and the “block” of reality to literally grow as time goes by.

Universals appear to be as central in today's computational-based ontology as they were in medieval ontological investigations. As the author of a recent work on the history of universals (Pinzani, 2018), I was asked for a commentary on Augusto’s article “Bridging Mainstream and Formal Ontology” (Augusto, 2021), which aims at showing that medieval ontological investigations can be relevant for contemporary ontology engineering. In this commentary, I begin by saying something about my way of reading 12th-century logical literature and then offer (...) some modest considerations on the general theme addressed in Augusto's article. (shrink)